Capitolo n. 72 – nakama
Geffen aprì, con disinvoltura, la cassaforte,
estraendone un paio di mazzette
“Ecco, dovrebbero
esserci tutti, avevo dei pagamenti in scadenza anch’io, giù al campo base …”
“Se ti creo problemi,
zio Glam” – Rovia si morse le labbra, in piedi e teso, oltre la scrivania
dell’avvocato, che si voltò, sorridente.
“Sono secoli, che non
mi chiami così”
“Mi viene spontaneo” –
e rise nervoso – “… Comunque sono per l’attività, la sto riavviando, mi devo
sempre procurare pezzi speciali, per accontentare i clienti, sai?” – spiegò in
imbarazzo – “… poi sistemi tu, con il mio conto, li prelevi, ok?” – chiuse
frettoloso.
“Ma certo … Una firma
qui, sotto alla cifra, accanto alla mia: con questo mandato risolvo ogni cosa
online, ok?” – spiegò calmo, accomodandosi in poltrona.
“Sì, sì, certo, ecco …”
– il giovane siglò svelto quel foglietto, deglutendo a vuoto.
“Dai siediti, beviamo
qualcosa … Stai bene, tesoro?” – domandò gentile l’uomo, continuando a
fissarlo.
“Un po’ meglio, mi sono
chiarito con Norman”
“Perfetto … Sai, noi
vecchietti facciamo cazzate con le ex, ogni tanto” – e rise.
“Quel bacio mi ha
offeso” – bissò secco, guardandolo, ora.
Geffen annuì, prendendo
un respiro – “Fai attenzione con tutto questo contante, ok?”
“Promesso!” – e anche
Rovia sorrise, ma senza convinzione, quindi sparì.
Glam ne seguì la
discesa, attraverso le grandi vetrate, lungo la scala esterna; poi accese
l’interfono.
“Vas?”
“Sì capo, la ascolto”
“Segui Paul: temo si
stia mettendo nei guai.”
Chris spostò la ciocca
ribelle, che non voleva saperne, di starsene oltre la fronte, del suo
bellissimo sposo, dove il tenente non esitò a posare un bacio, con intensità,
dopo l’ennesimo drink in spiaggia.
Erano volati alle
Hawaii, per un breve viaggio di nozze, senza la loro bimba, che mancava a
entrambi, finendo in ogni discorso della coppia.
“E comunque, con i
cuginetti, Luna sta bene” – sospirò Tom, allungandosi meglio sul lettino
prendisole, a bordo piscina.
Il resort a cinque
stelle, era semi vuoto.
Il dono di Geffen,
comunque, aveva fatto loro piacere, visto il recente periodo burrascoso e
drammatico, trascorso in una Los Angeles quasi irriconoscibile, dopo il
terremoto.
Il ritorno alla
normalità, era molto lento.
Hemsworth addentò un
salatino, a forma di stella – “A villa Meliti non le manca nulla, poi ci sono
le zie, gli zii” – il biondo rise, tornando a guardare Hiddleston, un po’
smarrito, anche se fondamentalmente sereno, dopo il matrimonio.
“Forse le manca una
sorellina … un fratellino” – azzardò il terapista, con aria simpatica.
Chris annuì – “Dovremmo
deciderci, hai ragione amore”
“Wow … Sembri convinto”
“A sufficienza e poi mi
hanno dato pure un aumento di stipendio, anche se” – e si morse le labbra,
guardando altrove.
“Dai, non ricominciamo
con la storia del nonno e di”
“Di Glam, che stacca
assegni, come se”
Tom inarcò il
sopracciglio sinistro.
“Ok, ok, la smetto
subito, i munifici e magnifici decani del clan sono autorizzati a rendere
felice anche la nostra principessa!” – e sorrise, abbracciando il consorte,
subito tranquillizzato dall’affermazione dell’altro, che voleva fare funzionare
le cose, tra loro.
Ad
ogni costo.
Rovia si guardò
intorno, dopo avere parcheggiato la sua HD, dietro ad un motel piuttosto
dignitoso e pulito, senza sapere di avere seminato Vas, nel traffico cittadino,
intasato ancora da imprese e volontari, addetti alla ricostruzione e ai
soccorsi.
La camera 307 era
laterale e lontana dalla portineria, dove un viscido proprietario occhialuto,
faceva schizzare le sue iridi scure, da un giornaletto porno, al monitor di video
sorveglianza, ogni tre secondi, quasi come un automa.
Paul bussò piano, dopo
avere ricevuto le istruzioni da Morgan, su dove trovarlo, via sms.
Il pluriergastolano gli
aprì svelto, afferrandolo per un braccio, affinché non perdesse tempo, lì,
sulla soglia.
“Entra! Ma quanto ci
hai messo, cazzo?!” – sbottò JD, buttandolo al centro di quell’ambiente, che
sapeva di polvere e tabacco.
Quello di JD.
“Ho fatto prima che ho
potuto!” – sbottò, addossandosi poi ad un muro, tappezzato di crepe e quadretti
naif orrendi.
“Ok, ok …” – Morgan prese
fiato, poi azzerò la distanza, iniziando a perquisirlo.
“Ma cosa fai, accidenti!”
– Paul sgusciò via, prendendo qualcosa dalla tasca dei jeans.
Una chiave.
“E con quella cosa
diavolo ci dovrei fare?!”
“Ci apri una cassetta alla
stazione nord dei bus, ne prendi al volo uno e sparisci, maledizione!” –
ribatté, vibrando come una corda di violino.
“I patti non erano
questi” – sibilò JD, riavvicinandosi, pericolosamente.
“Non potevo andarci in
giro, cerca di capirlo!”
“E se fosse una
trappola?” – rise storto, riaddossandolo alla parete di prima.
“Ti giuro che non ti
sto fregando, del resto ho interesse a fare l’esatto contrario, per liberarmi
di te!” – gli replicò, fissandolo e con decisione.
Morgan schioccò le
labbra, soppesando le sue parole, senza staccarsi ancora: lo aveva come catturato
e, tra loro, finiva sempre così.
Un attimo dopo, la
barba, più curata nel frattempo, di JD, iniziò a pungere il collo liscio di
Rovia, che non sapeva come comportarsi, temendo di essere ammazzato, adesso che
quel criminale, aveva avuto ciò che voleva.
La morsa, attorno ai
suoi polsi, però, si allentò, così la pressione di quel corpo massiccio, contro
al suo, che ne venne così avvolto, come in una carezza e poi un bacio, ad
arroventare mille sensazioni, che, devastanti, confusero Paul ancora di più.
“Co cosa fai …?” –
balbettò in un soffio di voce, riuscendo a distaccarsi appena da Morgan, che
sorrise, gli occhi lucidi.
“Faccio quello, di cui
hai bisogno, ragazzino …” – mormorò quasi con dolcezza, inusuale, ma non
stridente, con quei gesti oltre modo calibrati, di passione e tenerezza.
Lui aveva bisogno di
Norman, glielo avrebbe voluto gridare, ma non ci riuscì, ricambiando il suo
abbraccio, tornando a baciarlo.
Fu infinito, sino al
letto disfatto, come Rovia, dei suoi abiti un po’ larghi, sul corpo smagrito,
ma perfetto.
JD lo stava come
ammirando, toccandolo dappertutto, sentendolo e facendosi sentire, più avido,
ora – “Mi sei mancato, sai?” – gli ruggì in bocca, afferrandogli la nuca,
aprendosi un varco tra le sue gambe esili.
Caldissimo.
Esigente.
Morgan lo preparò, con
una cura, che Paul non ricordava affatto.
In cella, nel buio e
nel fumo, di quelle sigarette di importazione, i gesti di JD erano stati
sporchi, spesso cattivi.
Adesso no.
Adesso quel che doveva
essere un incubo, si trasformò in contemplazione pura, di come lui, non più
riluttante, riusciva a fargli dimenticare tutto.
E tutti.
I fianchi forti, di JD,
cominciarono a muoversi, capaci, instancabili.
Il giorno divenne notte,
anche se il sole rimase alto.
Paul neppure si era
accorto, delle tapparelle sigillate, così lo spegnersi della luce centrale,
lasciò ogni dettaglio nell’oscurità, infranta dal ronzio del condizionatore,
posizionato al massimo e dal cigolio della rete, sotto al materasso, ancora a
molle.
JD gli sollevò i
polpacci, portandoseli sulle spalle, aumentando il ritmo.
La testata cominciò a
sbattere, contro la tappezzeria sbiadita.
Il loro sudore colava e
si rimescolava, tra numerosi baci e ansiti, finché Rovia si ritrovò abbandonato
e rivoltato, ridotto a carponi e ripreso, con foga.
Una foga assurdamente
bella.
Le mani di JD lo
tenevano per i capelli lunghi, poi per le spalle, quindi le dita del più
vecchio, gli solcarono le labbra, già spalancate per l’orgasmo imminente.
“Lui ti scopa così, eh?!”
– ringhiò osceno, usando i polpastrelli umidi, per dilatarlo maggiormente, lì,
dove lo stava possedendo, come un forsennato.
“Mioddio” – Paul non
riuscì a dire altro, quasi svenendogli sotto.
Poi tornò la pace.
Il petto ampio e
villoso di Morgan ad accoglierlo, a rammentargli un mantice, la sua pelle, il
suo odore.
Rovia non aveva più
energie: si sentiva sazio e svuotato, in pieno contrasto interiore.
Grondava di umori e il
suo amante, torbido, aveva ricominciato ad esplorarlo, con quelle stesse
falangi, che il ragazzo non si era sottratto e succhiare e leccare,
assecondandolo in ogni richiesta.
In quella voglia,
rovente, di lui, che Morgan aveva voluto vivere a pieno.
Paul scivolò sino al
bordo, sedendosi, dopo essere venuto una seconda volta.
“Devo andare” –
ed inspirò greve, come se non ci fosse più aria in quel tugurio.
“Andare dove?
Dal tuo fidanzato?” – lo canzonò JD,
senza badare alla stretta, improvvisa, allo stomaco.
“Io … io ti ho
voluto bene, lo sapevi questo?” – e accese un faretto, che puntava sopra al
comodino in radica finta.
La sua figura
era come piegata, le gambe accavallate, le braccia strette sull’addome ancora
sudicio dell’altro.
“Vuoi fumare? Ho
dell’erba favolosa” – e rise, senza alcuna gioia.
“Sei uno
stronzo, Morgan” – lo tagliò secco Paul, alzandosi di scatto – “Faccio una
doccia e me ne vado, ok? Non rompermi più i coglioni, se non vuoi avere davvero
dei guai: cogli l’occasione, ti è andata bene, non avrai una seconda
possibilità” – e si chiuse a chiave in bagno, inseguito dalle proteste di JD.
“E da chi dovrei
difendermi, da quel porco di Geffen?! Il tuo tutore, giusto, il tuo zietto
preferito??! Ti sei fatto anche lui?!”
Era furioso.
Era sconfitto,
come mai, prima di allora.
Vas fece
rapporto, una volta recatosi a villa Meliti, in presenza sia di Antonio, che di
Glam, riunitisi in biblioteca.
“C’era solo
questa macchina, oltre alla moto di Paul: mi sono segnato la targa, ma è
risultata rubata”
“Hai visto
qualcuno?”
“No, sono
arrivato mentre lui usciva dal parcheggio, non so da quale bungalow provenisse,
è stato quasi un caso trovarlo, mi dispiace”
“Hai fatto un
ottimo lavoro e lasciando uno dei nostri sul posto, prima o poi scopriremo
qualcosa” – intervenne Meliti, accendendosi un sigaro, come d’abitudine.
“Forse dovremmo
torchiare il gestore” – propose Geffen, aggrottando la fronte, mentre
sorseggiava un aperitivo.
“Aspettate” –
disse il patriarca, afferrando il telefono - ”… una chiamata … E’ Martin … Sì,
dimmi tutto … Mmm ok … Una foto? Sul cellulare di Vas, d’accordo, ma pensi sia
lui? Non mollarlo, vediamo cosa combina” – e riattaccò.
“Di chi si
tratta?” – domandò impaziente l’avvocato.
“Per Martin è
quasi sicuramente JD Morgan, hai presente?”
“Non è possibile
… Dovrebbe essere dentro a vita e”
“Sarà evaso
grazie al sisma” – dedusse il sovietico.
“Era in cella
con Paul, lo tormentava, lo scoprii quasi per caso e riuscii a farlo trasferire”
– raccontò Geffen.
“Non ci vuole un
genio a capire che ha ricattato Paul, quei centomila dollari erano dunque per
lui” – osservò Meliti.
“Dovremmo
chiamare la polizia, capo …”
“Hai ragione
Vas, però non subito: voglio mettere al sicuro Paul, dopo avergli parlato”
“Credi ci sia
del marcio sotto?” – chiese schietto Antonio.
Glam non disse niente.
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