martedì 13 settembre 2016

NAKAMA - CAPITOLO N. 72

Capitolo n. 72 – nakama



Geffen aprì, con disinvoltura, la cassaforte, estraendone un paio di mazzette

“Ecco, dovrebbero esserci tutti, avevo dei pagamenti in scadenza anch’io, giù al campo base …”

“Se ti creo problemi, zio Glam” – Rovia si morse le labbra, in piedi e teso, oltre la scrivania dell’avvocato, che si voltò, sorridente.

“Sono secoli, che non mi chiami così”

“Mi viene spontaneo” – e rise nervoso – “… Comunque sono per l’attività, la sto riavviando, mi devo sempre procurare pezzi speciali, per accontentare i clienti, sai?” – spiegò in imbarazzo – “… poi sistemi tu, con il mio conto, li prelevi, ok?” – chiuse frettoloso.

“Ma certo … Una firma qui, sotto alla cifra, accanto alla mia: con questo mandato risolvo ogni cosa online, ok?” – spiegò calmo, accomodandosi in poltrona.

“Sì, sì, certo, ecco …” – il giovane siglò svelto quel foglietto, deglutendo a vuoto.

“Dai siediti, beviamo qualcosa … Stai bene, tesoro?” – domandò gentile l’uomo, continuando a fissarlo.

“Un po’ meglio, mi sono chiarito con Norman”

“Perfetto … Sai, noi vecchietti facciamo cazzate con le ex, ogni tanto” – e rise.

“Quel bacio mi ha offeso” – bissò secco, guardandolo, ora.

Geffen annuì, prendendo un respiro – “Fai attenzione con tutto questo contante, ok?”

“Promesso!” – e anche Rovia sorrise, ma senza convinzione, quindi sparì.

Glam ne seguì la discesa, attraverso le grandi vetrate, lungo la scala esterna; poi accese l’interfono.

“Vas?”

“Sì capo, la ascolto”

“Segui Paul: temo si stia mettendo nei guai.”




Chris spostò la ciocca ribelle, che non voleva saperne, di starsene oltre la fronte, del suo bellissimo sposo, dove il tenente non esitò a posare un bacio, con intensità, dopo l’ennesimo drink in spiaggia.

Erano volati alle Hawaii, per un breve viaggio di nozze, senza la loro bimba, che mancava a entrambi, finendo in ogni discorso della coppia.

“E comunque, con i cuginetti, Luna sta bene” – sospirò Tom, allungandosi meglio sul lettino prendisole, a bordo piscina.

Il resort a cinque stelle, era semi vuoto.

Il dono di Geffen, comunque, aveva fatto loro piacere, visto il recente periodo burrascoso e drammatico, trascorso in una Los Angeles quasi irriconoscibile, dopo il terremoto.
Il ritorno alla normalità, era molto lento.

Hemsworth addentò un salatino, a forma di stella – “A villa Meliti non le manca nulla, poi ci sono le zie, gli zii” – il biondo rise, tornando a guardare Hiddleston, un po’ smarrito, anche se fondamentalmente sereno, dopo il matrimonio.

“Forse le manca una sorellina … un fratellino” – azzardò il terapista, con aria simpatica.

Chris annuì – “Dovremmo deciderci, hai ragione amore”

“Wow … Sembri convinto”

“A sufficienza e poi mi hanno dato pure un aumento di stipendio, anche se” – e si morse le labbra, guardando altrove.

“Dai, non ricominciamo con la storia del nonno e di”

“Di Glam, che stacca assegni, come se”

Tom inarcò il sopracciglio sinistro.

“Ok, ok, la smetto subito, i munifici e magnifici decani del clan sono autorizzati a rendere felice anche la nostra principessa!” – e sorrise, abbracciando il consorte, subito tranquillizzato dall’affermazione dell’altro, che voleva fare funzionare le cose, tra loro.

Ad ogni costo.




Rovia si guardò intorno, dopo avere parcheggiato la sua HD, dietro ad un motel piuttosto dignitoso e pulito, senza sapere di avere seminato Vas, nel traffico cittadino, intasato ancora da imprese e volontari, addetti alla ricostruzione e ai soccorsi.

La camera 307 era laterale e lontana dalla portineria, dove un viscido proprietario occhialuto, faceva schizzare le sue iridi scure, da un giornaletto porno, al monitor di video sorveglianza, ogni tre secondi, quasi come un automa.


Paul bussò piano, dopo avere ricevuto le istruzioni da Morgan, su dove trovarlo, via sms.

Il pluriergastolano gli aprì svelto, afferrandolo per un braccio, affinché non perdesse tempo, lì, sulla soglia.

“Entra! Ma quanto ci hai messo, cazzo?!” – sbottò JD, buttandolo al centro di quell’ambiente, che sapeva di polvere e tabacco.
Quello di JD.

“Ho fatto prima che ho potuto!” – sbottò, addossandosi poi ad un muro, tappezzato di crepe e quadretti naif orrendi.

“Ok, ok …” – Morgan prese fiato, poi azzerò la distanza, iniziando a perquisirlo.

“Ma cosa fai, accidenti!” – Paul sgusciò via, prendendo qualcosa dalla tasca dei jeans.

Una chiave.

“E con quella cosa diavolo ci dovrei fare?!”

“Ci apri una cassetta alla stazione nord dei bus, ne prendi al volo uno e sparisci, maledizione!” – ribatté, vibrando come una corda di violino.

“I patti non erano questi” – sibilò JD, riavvicinandosi, pericolosamente.

“Non potevo andarci in giro, cerca di capirlo!”

“E se fosse una trappola?” – rise storto, riaddossandolo alla parete di prima.

“Ti giuro che non ti sto fregando, del resto ho interesse a fare l’esatto contrario, per liberarmi di te!” – gli replicò, fissandolo e con decisione.

Morgan schioccò le labbra, soppesando le sue parole, senza staccarsi ancora: lo aveva come catturato e, tra loro, finiva sempre così.

Un attimo dopo, la barba, più curata nel frattempo, di JD, iniziò a pungere il collo liscio di Rovia, che non sapeva come comportarsi, temendo di essere ammazzato, adesso che quel criminale, aveva avuto ciò che voleva.

La morsa, attorno ai suoi polsi, però, si allentò, così la pressione di quel corpo massiccio, contro al suo, che ne venne così avvolto, come in una carezza e poi un bacio, ad arroventare mille sensazioni, che, devastanti, confusero Paul ancora di più.

“Co cosa fai …?” – balbettò in un soffio di voce, riuscendo a distaccarsi appena da Morgan, che sorrise, gli occhi lucidi.

“Faccio quello, di cui hai bisogno, ragazzino …” – mormorò quasi con dolcezza, inusuale, ma non stridente, con quei gesti oltre modo calibrati, di passione e tenerezza.

Lui aveva bisogno di Norman, glielo avrebbe voluto gridare, ma non ci riuscì, ricambiando il suo abbraccio, tornando a baciarlo.
Fu infinito, sino al letto disfatto, come Rovia, dei suoi abiti un po’ larghi, sul corpo smagrito, ma perfetto.

JD lo stava come ammirando, toccandolo dappertutto, sentendolo e facendosi sentire, più avido, ora – “Mi sei mancato, sai?” – gli ruggì in bocca, afferrandogli la nuca, aprendosi un varco tra le sue gambe esili.
Caldissimo.
Esigente.

Morgan lo preparò, con una cura, che Paul non ricordava affatto.

In cella, nel buio e nel fumo, di quelle sigarette di importazione, i gesti di JD erano stati sporchi, spesso cattivi.

Adesso no.
Adesso quel che doveva essere un incubo, si trasformò in contemplazione pura, di come lui, non più riluttante, riusciva a fargli dimenticare tutto.
E tutti.

I fianchi forti, di JD, cominciarono a muoversi, capaci, instancabili.

Il giorno divenne notte, anche se il sole rimase alto.

Paul neppure si era accorto, delle tapparelle sigillate, così lo spegnersi della luce centrale, lasciò ogni dettaglio nell’oscurità, infranta dal ronzio del condizionatore, posizionato al massimo e dal cigolio della rete, sotto al materasso, ancora a molle.

JD gli sollevò i polpacci, portandoseli sulle spalle, aumentando il ritmo.
La testata cominciò a sbattere, contro la tappezzeria sbiadita.
Il loro sudore colava e si rimescolava, tra numerosi baci e ansiti, finché Rovia si ritrovò abbandonato e rivoltato, ridotto a carponi e ripreso, con foga.

Una foga assurdamente bella.

Le mani di JD lo tenevano per i capelli lunghi, poi per le spalle, quindi le dita del più vecchio, gli solcarono le labbra, già spalancate per l’orgasmo imminente.

“Lui ti scopa così, eh?!” – ringhiò osceno, usando i polpastrelli umidi, per dilatarlo maggiormente, lì, dove lo stava possedendo, come un forsennato.

“Mioddio” – Paul non riuscì a dire altro, quasi svenendogli sotto.

Poi tornò la pace.

Il petto ampio e villoso di Morgan ad accoglierlo, a rammentargli un mantice, la sua pelle, il suo odore.

Rovia non aveva più energie: si sentiva sazio e svuotato, in pieno contrasto interiore.

Grondava di umori e il suo amante, torbido, aveva ricominciato ad esplorarlo, con quelle stesse falangi, che il ragazzo non si era sottratto e succhiare e leccare, assecondandolo in ogni richiesta.
In quella voglia, rovente, di lui, che Morgan aveva voluto vivere a pieno.

Paul scivolò sino al bordo, sedendosi, dopo essere venuto una seconda volta.

“Devo andare” – ed inspirò greve, come se non ci fosse più aria in quel tugurio.

“Andare dove? Dal tuo fidanzato?” – lo canzonò JD, senza badare alla stretta, improvvisa, allo stomaco.

“Io … io ti ho voluto bene, lo sapevi questo?” – e accese un faretto, che puntava sopra al comodino in radica finta.

La sua figura era come piegata, le gambe accavallate, le braccia strette sull’addome ancora sudicio dell’altro.

“Vuoi fumare? Ho dell’erba favolosa” – e rise, senza alcuna gioia.

“Sei uno stronzo, Morgan” – lo tagliò secco Paul, alzandosi di scatto – “Faccio una doccia e me ne vado, ok? Non rompermi più i coglioni, se non vuoi avere davvero dei guai: cogli l’occasione, ti è andata bene, non avrai una seconda possibilità” – e si chiuse a chiave in bagno, inseguito dalle proteste di JD.

“E da chi dovrei difendermi, da quel porco di Geffen?! Il tuo tutore, giusto, il tuo zietto preferito??! Ti sei fatto anche lui?!”

Era furioso.
Era sconfitto, come mai, prima di allora.




Vas fece rapporto, una volta recatosi a villa Meliti, in presenza sia di Antonio, che di Glam, riunitisi in biblioteca.

“C’era solo questa macchina, oltre alla moto di Paul: mi sono segnato la targa, ma è risultata rubata”

“Hai visto qualcuno?”

“No, sono arrivato mentre lui usciva dal parcheggio, non so da quale bungalow provenisse, è stato quasi un caso trovarlo, mi dispiace”

“Hai fatto un ottimo lavoro e lasciando uno dei nostri sul posto, prima o poi scopriremo qualcosa” – intervenne Meliti, accendendosi un sigaro, come d’abitudine.

“Forse dovremmo torchiare il gestore” – propose Geffen, aggrottando la fronte, mentre sorseggiava un aperitivo.

“Aspettate” – disse il patriarca, afferrando il telefono - ”… una chiamata … E’ Martin … Sì, dimmi tutto … Mmm ok … Una foto? Sul cellulare di Vas, d’accordo, ma pensi sia lui? Non mollarlo, vediamo cosa combina” – e riattaccò.

“Di chi si tratta?” – domandò impaziente l’avvocato.

“Per Martin è quasi sicuramente JD Morgan, hai presente?”

“Non è possibile … Dovrebbe essere dentro a vita e”

“Sarà evaso grazie al sisma” – dedusse il sovietico.

“Era in cella con Paul, lo tormentava, lo scoprii quasi per caso e riuscii a farlo trasferire” – raccontò Geffen.

“Non ci vuole un genio a capire che ha ricattato Paul, quei centomila dollari erano dunque per lui” – osservò Meliti.

“Dovremmo chiamare la polizia, capo …”

“Hai ragione Vas, però non subito: voglio mettere al sicuro Paul, dopo avergli parlato”

“Credi ci sia del marcio sotto?” – chiese schietto Antonio.

Glam non disse niente.










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