martedì 26 luglio 2016

ONE SHOT - DI CARTA E POLVERE

One shot - Di carta e polvere



Fragile e vinto.
Ecco come si sente, ora, Hannibal Lecter, armeggiando con una siringa, chiuso a chiave, nella biblioteca del suo castello in Europa.
I primi giorni di dicembre, acuiscono la malinconia.
Il clima, in compenso, gli amplifica i dolori alla schiena, sempre più insopportabili.
Sta peggiorando e l’effetto della morfina sembra indebolirsi, quanto lui, che, miseramente, se la inietta, tra le dita dei piedi, come il più squallido dei tossici.

Will non deve sapere.

Questo pensa, stupidamente, lo squartatore di Chesapeake.



Un venditore di Sky è arrivato anche lì.
Un mercante del nulla, che oggi sembra così importante, di un effimero, che, in realtà, soddisfa unicamente i palati meno avvezzi alla cultura, pensa Hannibal, a quei rozzi arrivisti, che hanno una carta di credito, sulla quale fare addebitare il canone mensile, del canale satellitare.

“Dove posso quindi fare domiciliare il pagamento”

“Di cosa, scusi?” – lo interrompe brusco lo psichiatra, tornando a scrutarlo, non più distratto dalle sue chiacchiere vuote.

“Ma dell’abbonamento” – e sorride, convinto di averlo convinto.

Sbaglia grossolanamente, senza rendersi conto di Graham alle sue spalle, del coltello, che ha nella mano destra.
La lama affilata, fende prima l’aria e poi la sua gola, ben rasata e in vista.
Gli schizzi di sangue arrivano alla camicia intonsa di Hannibal, che rimane quasi immobile, sulla poltrona, davanti al camino scoppiettante d’oro e alabastro.

“Scusami, te la laverò subito” – dice Will, quasi ringhiando, mentre infierisce, sul volto di quel tizio, senza ragione.

Se non una pura crudeltà, che eccita Lecter, come nulla al mondo.
O quasi.

“Amore non dovresti”

“Cosa?” – e si gira di scatto, il suo ragazzo, che non appassisce, quanto lui, gli occhi grandi, che non sorridono più, da quando Rebecca è distante da loro, anche se hanno preso l’abitudine di scriverle entrambi, lunghe missive, su pergamena, striata d’avorio.

Cose d’altri tempi.
Come quel posto sperduto.


Hannibal scatta in piedi, trovando la forza, nell’ultima dose di un veleno, che gli crea innumerevoli effetti collaterali.

“Scendi alle cripte, fino alla cella di mezzo: lì troverai una botola, aprila e gettalo dentro, l’acqua del fiume lo porterà al largo!” – intima severo.

“Sì, certo … Potresti aiutarmi, almeno?”

Lecter gli passa oltre, rigido e scuro – “Tu hai fatto il danno, tu lo rimedi” – sibila aspro, poi svanisce oltre all’uscio, rimasto aperto.




Will è affaticato, ma fiero, mentre si gratta via dalle unghie, con veemenza, il sangue rappreso, di quel petulante imbonitore.

È nel bagno padronale, dove il consorte si è appena immerso nella vasca, per tentare di rilassarsi.
Se solo potessero bastare, un po’ di acqua calda e i sali, acquistati durante un viaggio in Marocco, l’ultimo abbastanza lontano dai loro incubi, per lenire le sue fitte.

“E’ stato un lavoro semplice, quanto fargli togliere il disturbo, mi dava sui nervi, con quella risatina supponente” – dice frenetico Graham, gettando i vestiti sporchi nella stufa; ce né una anche lì, in ghisa e maioliche verdi.

“Non devi giustificarti” – mormora l’altro, tendendogli le mani.

Will prende un lungo respiro – “Non adesso, non ne ho voglia” – dice a sorpresa, infilandosi nel box doccia.

Un rifiuto puerile, ma non irritante.

Un flebile stimolo, per le sue membra logore, ma non abbastanza per non spalancare le ante, in vetro molato, per ammirare la nudità di Graham, la sua bellezza un po’ trascurata nei dettagli, perché non necessario.

Scrutarlo è eterno, mentre aderisce alla parete di piastrelle, già annebbiate dal vapore, che reagiscono, al contatto della sua pelle, come l’erezione di Hannibal, avvinghiato, all’istante, a lui, che è più importante dello stesso respirare.

“Tesoro adorato” – e si commuove, quel deserto arido, che Graham ha saputo irrigare e poi inondare d’amore puro.

Consumarsi in un amplesso sarebbe così faticoso e lo farebbe scoprire, nel suo male, risvegliatosi, mesi dopo, quel volo dalla scogliera.
Prima o poi sarebbe accaduto.

Le vertebre stavano perdendo il loro allineamento strutturale: nulla, che un intervento mirato, non potesse risolvere.
Portandoli, però, pericolosamente allo scoperto.

Will lo bacia, intenso, poi si inginocchia, facendolo godere.

Poi ride.
Poi piange, aggrappandosi alle sue cosce, stringendole come un bimbo impaurito – “Se solo potessi lenire il tuo dolore, Hannibal … Credi non me ne sia reso conto?” – e gli sfiora le caviglie, poi scorre, d’arabesco e pioggia, sotto il getto aperto al minimo, in un tepore surreale, sino a quei lembi di pelle, martoriati e malcelati.

“Io non volevo farti preoccupare”

“Come potrei non esserlo, per te, per noi?” – ed è già riemerso, da quell’abisso, ma senza sconforto – “Ti stai spegnendo, anche per lei, per la nostra Rebecca, perché io non ti basto più”

E questa è rabbia.

Rimescolata a tutte le cose non dette, in lunghe settimane, dopo essersi riappacificati e perdonati.
Per cosa poi?
Per averla lasciata a Chiyo?

Fa male.
Da morire, non averla più, come se l’avessero salvata da loro, da ciò che sono.
Quasi un paradosso.
Mai avrebbero rinnegato la natura, che li saldava in una simbiosi unica.
Irripetibile, tra il resto dell’umanità.


Pensare in fretta, questo è ciò che distingue Lecter dalla media, dai mediocri.
Purtroppo accade anche nel rapporto con Will.

“L’abbiamo voluto insieme!” – tuona il più anziano, tra le sue scapole, bagnate di sudore e sale.

“Come se fosse vero!” – e si volta, l’ex profiler, il burattino di Jack Crawford, colui, che, all’apparenza, non decide mai niente.

Lecter lo spinge a terra, lo sovrasta e si prende, ciò che ritiene suo di diritto.

Graham non si arrende, non subisce; lui lo accetta.
Da sempre.
Lo accoglie, di nuovo in lacrime, più silenziose, meno dei gemiti, cadenzati e devastanti, nel collo del suo amante immortale.

E’ così, che deve essere.
E lui, così, di carta e polvere.




Parigi illuminata per il Natale alle porte, uno spettacolo di colori e luci, ai quali è impossibile abituarsi, pensa Lecter, mentre viaggiano in taxi, verso l’abitazione di Chiyo.

“Siamo arrivati” – gli arride, nella semi oscurità dell’abitacolo, Will, mentre Hannibal paga il dovuto.
Ci sarebbe arrivato di corsa, tenendo per mano Graham, come sta comunque facendo, mentre il coniuge suona all’unico campanello di quello stabile, eretto su tre livelli.
Al piano terreno risiedono Rebecca e la zia nipponica.
Ai restanti, sigillati da tempo immemore, abiterà la coppia di mariti assassini.
Con la loro piccola.

Becky si precipita ad aprire, già in pigiama, mentre sullo sfondo di un living enorme, troneggia un albero gigantesco, ma privo di doni.

E’ ancora presto.

Lecter la avvolge e così fa con Will.
Sono di nuovo insieme.
Finalmente.




Un luminare; era ciò che serviva, per risolvere il problema di Lecter.
Il professor Norman Reedus, gli sembrò perfetto allo scopo.

“Ho esaminato il suo fascicolo, ma non conosco questa clinica privata” – esordisce, dopo un lungo silenzio, all’altro capo della scrivania in radica, ma dalla foggia moderna.

“E’ di un mio conoscente, prematuramente scomparso”

“Sì, comprendo signor Bausen”
Un cognome valeva un altro, Hannibal aveva cambiato così spesso identità e documenti, da avere quasi esaurito le opzioni, più o meno credibili.

Le sue bugie, non dovevano durare a lungo, nella testa di inconsapevoli testimoni.

“Le sue lastre mi preoccupano sa? Se vuole posso fare entrare sua moglie”

“Non la è” – Lecter sorride compiaciuto, non sa neppure di cosa.

Pregusta un divenire, che difficilmente potrà stupirlo.

In questa occasione è Chiyo, ad averlo accompagnato, mentre Will e Becky sono al parco, ad attenderli fiduciosi.

“D’accordo, io credevo”

“E’ la mia segretaria, ma sopperisce anche alle funzioni di autista e bodyguard, nel caso servisse, è esperta in arti marziali e non solo” – Hannibal snocciola particolari, come se non ci fosse un domani, direbbe ilare Graham, senza sapere quanto sia nel giusto.

Reedus sorride, giocando con il ciuffo ribelle, che gli copre parte della fronte ed una cicatrice: il suo aspetto è trasandato chic, direbbe invece Bedelia; chissà che fine ha fatto, lei.

“Questo intervento è complicato, ma non per me, anche se potrei gettare la spugna o mandarla da un collega, se ne esistesse uno, più esperto, del sottoscritto, in materia”

“Perché mai dovrebbe farlo e rinunciare ad un compenso così ingente?” – domanda incuriosito l’analista.

“Perché potrei non volere avere nulla a che fare, con lei, dottor Lecter” – e nel dirlo, gelido, il medico estrae dalla cartellina tinta azzurro vivace, un foglio stampato in bianco e nero, dove la scritta FBI, spicca su tutto il resto.

“Una foto, che non le rende giustizia” – ridacchia Norman, senza scomporre la lucidità del suo interlocutore, che annuisce.

“Bene, di cosa stiamo parlando? Di un ricatto oppure”

“Assolutamente no!” – lo taglia secco il chirurgo – “In realtà ho una proposta da farle”

“Sentiamo”

Reedus inspira l’aria greve, che si è fatta intorno.

Quindi espone la sua richiesta, dopo essersi spostato al davanzale.

“Questa città, l’ospedale, che vi ho costruito, i miei collaboratori, le mie amanti, le ex mogli, sono divenuti un tale tedio, una spirale senza vie d’uscita”

“Non ha figli?”

“No” – e lo fissa, improvviso – “… forse, se ne avessi, non le chiederei una cosa del genere, dottor Lecter”

“Arrivi al punto”

“Ho catturato la sua attenzione, ne sono orgoglioso, sa? Ad ogni modo, si tratta di partecipare ad una delle sue cene, ecco” – espone più timido.

“Interessante”

“Il cannibalismo mi affascina, da quando avevo dodici anni” – aggiunge, persino un po’ infantile.

E il pazzo sarei io, sta pensando Hannibal, che già elabora mentalmente una strategia, per accontentarlo.

“Nessun problema, sarò felice di ospitarla, dopo che mi avrà operato: glielo prometto” – ed allunga la mano, in segno di impegno.

Reedus la stringe, soddisfatto – “La ringrazio: ho già firmato il foglio del ricovero, per dopo domani e la rimetterò in piedi la sera stessa, è la mia prassi”

“Con pieno successo, mi auguro”

“Non ha nulla da temere, dottor Lecter, ha la mia piena assicurazione.”




Will sta spingendo Rebecca sopra un’altalena, mentre parla, sorridente, con un’avvenente ragazza, che sembra lì per caso, con il suo cane irrequieto, verso ogni passante.

Tranne che con Lecter, apparso, tra una folata di vento e foglie, con il fiato corto, a disegnare l’atmosfera invernale, di sbuffi bianchi ed evanescenti.

“Hannibal!” – “Papà!”
Entrambi gli corrono incontro e lui li raccoglie in un abbraccio caloroso.

Juliette, si chiama così, si avvicina, con noncuranza, con il suo pechinese al guinzaglio – “Lei piace anche a Mosquito” – dice sciolta, ma senza guardarlo negli occhi.

Le palpebre di Lecter si sono assottigliate, per un attimo sfuggente.

“Lui è”

“Hai già detto il mio nome, amore, così io ho appena pronunciato il tuo” – gli sorride, ma quella distrazione, potrebbe non essere banale.

“Vi lascio, ho un appuntamento, arrivederci William, ciao Rebecca” – e sembra avere fretta, tanto che quel nome, lei non lo ripete.

“Era simpatica” – dice la loro principessa, senza perderla di vista, finché Juliette non scompare nella Metro lì vicino.

“Il suo Inglese zoppicante, non lo era affatto, sai? Mentre il suo Francese, davvero penoso” – dice sommesso Hannibal, esortando la bambina di farsi un ultimo giro sullo scivolo, davanti a loro.

“Tu pensi quindi, che sia un’agente?”

“Tornerà a cercarti qui: fatti trovare, ma senza Becky; per il resto, sai cosa fare, vero Will?”




Carboni ardenti, poi stille di ghiaccio, sensazioni contrastanti, post operatorie.

“Tutto previsto, decorso regolare” – lo rassicura Reedus, con una velata impazienza.

“Avanti, si alzi, non abbia paura dottor … Signor Bausen” – l’infermiera è indaffarata con le medicine e la flebo da togliere, così il suo aiuto, che neppure se ne accorge di quella gaffe mancata.

Hannibal si mette seduto, poi si erge, con ritrovato vigore – “Sto meglio così, ha ragione”

“Vede com’era semplice?”

“Sì professor Reedus, più di quanto lei creda.”




Chiyo guida concentrata sul viale degli Champs Elisées, con a bordo, sui sedili posteriori, due passeggeri speciali.
Uno convalescente, l’altro trepidante.

“Quindi, lei e Will vi siete sposati”

“In un certo senso”

E’ a tratti paradossale, quella conversazione.

“Siamo arrivati”

“Splendido quartiere, molto elegante” – sussurra Norman, fantasticando sul suo interno, senza rimanerne deluso.

E’ adrenalina pura, quella che gli scorre nelle vene, così champagne di annata egregia, pochi minuti dopo, tra il palato e la lingua asciutti, per un minimo di tensione latente.

Graham ha preparato un delizioso aperitivo, lo corteggia Hannibal, cingendolo da dietro, per baciarlo sulla nuca: sono loro tre e basta.

Chiyo è ridiscesa al suo alloggio, mentre di Rebecca, nemmeno l’ombra.

“Cosa si mangia?” – domanda nervoso Reedus, rompendo quel tacere, reciproco e assorto.

Will e Hannibal si guardano, memori di un qualcosa di loro – “Mai chiedere, è una sorpresa” – sentenzia Graham, poi schiude le porte, su di una sala adiacente, dove un desco spazioso, apparecchiato con stile, sembra attenderli.

Completamente privo di cibo, questo salta subito all’occhio di Norman, che ne rimane come indispettito, pensando di vedere chissà cosa.
Aveva letto avidamente ogni articolo, ogni reportage, sui crimini di Lecter, sul suo modo di presentare piatti magnifici, che celavano un orrendo segreto.

Eccolo lì, il segreto, scritto con ciliegie, intinte nel cioccolato, al centro di un piatto ovale, al posto, riservatogli da Lecter.

E’ il suo nome, Norman Reedus.



Un tripudio di fiammelle accese e profumi, aromi speziati.
Tutto è mutato.
La cena è servita.

Quante ore saranno trascorse, prova a chiedersi il professor Reedus, legato ad una sedia, per i polsi e l’unica gamba rimastagli, la sinistra.

“Ma … ma che cosa mi avete fatto?!” – urla disperato, la voce impastata, seminudo e stordito da una forte anestesia.

Sul ripiano in ebano, spicca un lungo vassoio, ma oltre ad esso, un corpo esanime, decorato di grappoli d’uva, melograni e pesche succose, disteso su di un letto di foglie d’edera e palma.

Will, seduto in fronte a Hannibal, con Norman sistemato a capo tavola, sorride, mentre infilza ingordo un lembo di coscia, ancora fumante, che il compagno gli ha servito, con patate novelle e topinambur marinati all’aneto.

“Sì, Juliette era davvero simpatica e … decorativa” – dice masticando, appagato, l’ex consulente speciale dell’FBI.

“O comunque si chiamasse” – bissa Lecter, per poi rivolgersi a Reedus, tremante ed esausto.

“Mio Dio, lasciatemi andare, non dirò niente, non vi tradirò, vi supplico” – ansima, sudato e febbrile, un po’ patetico, pensano i suoi ospiti.

“Per fare cosa? Tornare alla sua routine? Ma non ne era così assuefatto e infastidito? Ora è con noi, si diverta, si goda la novità … Tra poco la imboccheremo, così la sua esperienza sarà completa … Per la nostra, chissà, decideremo in seguito, giusto Will?”

“Sì … Giusto, amore.”




Rebecca sgattaiola nel salotto di Chiyo, facendola sobbalzare.
Lei era in attesa di ordini.
Per sbarazzarsi di quella Juliette e di Reedus, prima possibile; perché correre inutili rischi, del genere poi?
Natale è prossimo e abbandonare la dolce Francia, così ingiusto, pensa, osservando la bimba.

“Cosa stai facendo, tesoro?” – chiede incolore.

Becky sistema una bambola sul tappeto, poi un cestino da pic nic, minuscolo, ma colmo di frutta e non solo.

Una ciotola di argento, contenente una mousse e delle cialde salate.

“La merenda di mezzanotte!” – esclama lei, assaggiandone un primo cucchiaio – “… me l’ha data papà”

“Eri quindi di sopra, con loro?”

“No, ero in camera mia” – spiega, più attenta al suo pasto, che alla curiosità di quell’insolita istitutrice.

Chiyo ha un brivido, per la prima volta.

E non sarebbe stata l’ultima.



The End …







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