One shot - Di carta e polvere
Fragile e vinto.
Ecco come si sente, ora, Hannibal Lecter, armeggiando con una
siringa, chiuso a chiave, nella biblioteca del suo castello in Europa.
I primi giorni di dicembre, acuiscono la malinconia.
Il clima, in compenso, gli amplifica i dolori alla schiena,
sempre più insopportabili.
Sta peggiorando e l’effetto della morfina sembra indebolirsi,
quanto lui, che, miseramente, se la inietta, tra le dita dei piedi, come il più
squallido dei tossici.
Will non deve sapere.
Questo pensa, stupidamente, lo squartatore di Chesapeake.
Un venditore di Sky è arrivato anche lì.
Un mercante del nulla, che oggi sembra così importante, di un
effimero, che, in realtà, soddisfa unicamente i palati meno avvezzi alla
cultura, pensa Hannibal, a quei rozzi arrivisti, che hanno una carta di
credito, sulla quale fare addebitare il canone mensile, del canale satellitare.
“Dove posso quindi fare domiciliare il pagamento”
“Di cosa, scusi?” – lo interrompe brusco lo psichiatra, tornando
a scrutarlo, non più distratto dalle sue chiacchiere vuote.
“Ma dell’abbonamento” – e sorride, convinto di averlo
convinto.
Sbaglia grossolanamente, senza rendersi conto di Graham alle
sue spalle, del coltello, che ha nella mano destra.
La lama affilata, fende prima l’aria e poi la sua gola, ben
rasata e in vista.
Gli schizzi di sangue arrivano alla camicia intonsa di
Hannibal, che rimane quasi immobile, sulla poltrona, davanti al camino
scoppiettante d’oro e alabastro.
“Scusami, te la laverò subito” – dice Will, quasi ringhiando,
mentre infierisce, sul volto di quel tizio, senza ragione.
Se non una pura crudeltà, che eccita Lecter, come nulla al
mondo.
O quasi.
“Amore non dovresti”
“Cosa?” – e si gira di scatto, il suo ragazzo, che non
appassisce, quanto lui, gli occhi grandi, che non sorridono più, da quando Rebecca
è distante da loro, anche se hanno preso l’abitudine di scriverle entrambi, lunghe
missive, su pergamena, striata d’avorio.
Cose d’altri tempi.
Come quel posto sperduto.
Hannibal scatta in piedi, trovando la forza, nell’ultima dose
di un veleno, che gli crea innumerevoli effetti collaterali.
“Scendi alle cripte, fino alla cella di mezzo: lì troverai
una botola, aprila e gettalo dentro, l’acqua del fiume lo porterà al largo!” –
intima severo.
“Sì, certo … Potresti aiutarmi, almeno?”
Lecter gli passa oltre, rigido e scuro – “Tu hai fatto il
danno, tu lo rimedi” – sibila aspro, poi svanisce oltre all’uscio, rimasto
aperto.
Will è affaticato, ma fiero, mentre si gratta via dalle
unghie, con veemenza, il sangue rappreso, di quel petulante imbonitore.
È nel bagno padronale, dove il consorte si è appena immerso
nella vasca, per tentare di rilassarsi.
Se solo potessero bastare, un po’ di acqua calda e i sali,
acquistati durante un viaggio in Marocco, l’ultimo abbastanza lontano dai loro
incubi, per lenire le sue fitte.
“E’ stato un lavoro semplice, quanto fargli togliere il
disturbo, mi dava sui nervi, con quella risatina supponente” – dice frenetico
Graham, gettando i vestiti sporchi nella stufa; ce né una anche lì, in ghisa e
maioliche verdi.
“Non devi giustificarti” – mormora l’altro, tendendogli le
mani.
Will prende un lungo respiro – “Non adesso, non ne ho voglia”
– dice a sorpresa, infilandosi nel box doccia.
Un rifiuto puerile, ma non irritante.
Un flebile stimolo, per le sue membra logore, ma non
abbastanza per non spalancare le ante, in vetro molato, per ammirare la nudità
di Graham, la sua bellezza un po’ trascurata nei dettagli, perché non
necessario.
Scrutarlo è eterno, mentre aderisce alla parete di
piastrelle, già annebbiate dal vapore, che reagiscono, al contatto della sua
pelle, come l’erezione di Hannibal, avvinghiato, all’istante, a lui, che è più
importante dello stesso respirare.
“Tesoro adorato” – e si commuove, quel deserto arido, che
Graham ha saputo irrigare e poi inondare d’amore puro.
Consumarsi in un amplesso sarebbe così faticoso e lo farebbe
scoprire, nel suo male, risvegliatosi, mesi dopo, quel volo dalla scogliera.
Prima o poi sarebbe accaduto.
Le vertebre stavano perdendo il loro allineamento
strutturale: nulla, che un intervento mirato, non potesse risolvere.
Portandoli, però, pericolosamente allo scoperto.
Will lo bacia, intenso, poi si inginocchia, facendolo godere.
Poi ride.
Poi piange, aggrappandosi alle sue cosce, stringendole come
un bimbo impaurito – “Se solo potessi lenire il tuo dolore, Hannibal … Credi
non me ne sia reso conto?” – e gli sfiora le caviglie, poi scorre, d’arabesco e
pioggia, sotto il getto aperto al minimo, in un tepore surreale, sino a quei
lembi di pelle, martoriati e malcelati.
“Io non volevo farti preoccupare”
“Come potrei non esserlo, per te, per noi?” – ed è già
riemerso, da quell’abisso, ma senza sconforto – “Ti stai spegnendo, anche per
lei, per la nostra Rebecca, perché io non ti basto più”
E questa è rabbia.
Rimescolata a tutte le cose non dette, in lunghe settimane,
dopo essersi riappacificati e perdonati.
Per cosa poi?
Per averla lasciata a Chiyo?
Fa male.
Da morire, non averla più, come se l’avessero salvata da
loro, da ciò che sono.
Quasi un paradosso.
Mai avrebbero rinnegato la natura, che li saldava in una
simbiosi unica.
Irripetibile, tra il resto dell’umanità.
Pensare in fretta, questo è ciò che distingue Lecter dalla
media, dai mediocri.
Purtroppo accade anche nel rapporto con Will.
“L’abbiamo voluto insieme!” – tuona il più anziano, tra le
sue scapole, bagnate di sudore e sale.
“Come se fosse vero!” – e si volta, l’ex profiler, il
burattino di Jack Crawford, colui, che, all’apparenza, non decide mai niente.
Lecter lo spinge a terra, lo sovrasta e si prende, ciò che
ritiene suo di diritto.
Graham non si arrende, non subisce; lui lo accetta.
Da sempre.
Lo accoglie, di nuovo in lacrime, più silenziose, meno dei
gemiti, cadenzati e devastanti, nel collo del suo amante immortale.
E’ così, che deve
essere.
E lui, così, di carta e
polvere.
Parigi illuminata per il Natale alle porte, uno spettacolo di
colori e luci, ai quali è impossibile abituarsi, pensa Lecter, mentre viaggiano
in taxi, verso l’abitazione di Chiyo.
“Siamo arrivati” – gli arride, nella semi oscurità dell’abitacolo,
Will, mentre Hannibal paga il dovuto.
Ci sarebbe arrivato di corsa, tenendo per mano Graham, come
sta comunque facendo, mentre il coniuge suona all’unico campanello di quello
stabile, eretto su tre livelli.
Al piano terreno risiedono Rebecca e la zia nipponica.
Ai restanti, sigillati da tempo immemore, abiterà la coppia
di mariti assassini.
Con la loro piccola.
Becky si precipita ad aprire, già in pigiama, mentre sullo
sfondo di un living enorme, troneggia un albero gigantesco, ma privo di doni.
E’ ancora presto.
Lecter la avvolge e così fa con Will.
Sono di nuovo insieme.
Finalmente.
Un luminare; era ciò che serviva, per risolvere il problema
di Lecter.
Il professor Norman Reedus, gli sembrò perfetto allo scopo.
“Ho esaminato il suo fascicolo, ma non conosco questa clinica
privata” – esordisce, dopo un lungo silenzio, all’altro capo della scrivania in
radica, ma dalla foggia moderna.
“E’ di un mio conoscente, prematuramente scomparso”
“Sì, comprendo signor Bausen”
Un cognome valeva un altro, Hannibal aveva cambiato così
spesso identità e documenti, da avere quasi esaurito le opzioni, più o meno
credibili.
Le sue bugie, non dovevano durare a lungo, nella testa di
inconsapevoli testimoni.
“Le sue lastre mi preoccupano sa? Se vuole posso fare entrare
sua moglie”
“Non la è” – Lecter sorride compiaciuto, non sa neppure di
cosa.
Pregusta un divenire, che difficilmente potrà stupirlo.
In questa occasione è Chiyo, ad averlo accompagnato, mentre
Will e Becky sono al parco, ad attenderli fiduciosi.
“D’accordo, io credevo”
“E’ la mia segretaria, ma sopperisce anche alle funzioni di
autista e bodyguard, nel caso servisse, è esperta in arti marziali e non solo”
– Hannibal snocciola particolari, come se non ci fosse un domani, direbbe ilare
Graham, senza sapere quanto sia nel giusto.
Reedus sorride, giocando con il ciuffo ribelle, che gli copre
parte della fronte ed una cicatrice: il suo aspetto è trasandato chic, direbbe
invece Bedelia; chissà che fine ha fatto, lei.
“Questo intervento è complicato, ma non per me, anche se
potrei gettare la spugna o mandarla da un collega, se ne esistesse uno, più
esperto, del sottoscritto, in materia”
“Perché mai dovrebbe farlo e rinunciare ad un compenso così
ingente?” – domanda incuriosito l’analista.
“Perché potrei non volere avere nulla a che fare, con lei,
dottor Lecter” – e nel dirlo, gelido, il medico estrae dalla cartellina tinta
azzurro vivace, un foglio stampato in bianco e nero, dove la scritta FBI,
spicca su tutto il resto.
“Una foto, che non le rende giustizia” – ridacchia Norman,
senza scomporre la lucidità del suo interlocutore, che annuisce.
“Bene, di cosa stiamo parlando? Di un ricatto oppure”
“Assolutamente no!” – lo taglia secco il chirurgo – “In
realtà ho una proposta da farle”
“Sentiamo”
Reedus inspira l’aria greve, che si è fatta intorno.
Quindi espone la sua richiesta, dopo essersi spostato al
davanzale.
“Questa città, l’ospedale, che vi ho costruito, i miei
collaboratori, le mie amanti, le ex mogli, sono divenuti un tale tedio, una
spirale senza vie d’uscita”
“Non ha figli?”
“No” – e lo fissa, improvviso – “… forse, se ne avessi, non
le chiederei una cosa del genere, dottor Lecter”
“Arrivi al punto”
“Ho catturato la sua attenzione, ne sono orgoglioso, sa? Ad
ogni modo, si tratta di partecipare ad una delle sue cene, ecco” – espone più
timido.
“Interessante”
“Il cannibalismo mi affascina, da quando avevo dodici anni” –
aggiunge, persino un po’ infantile.
E il pazzo sarei io, sta pensando Hannibal, che già elabora
mentalmente una strategia, per accontentarlo.
“Nessun problema, sarò felice di ospitarla, dopo che mi avrà
operato: glielo prometto” – ed allunga la mano, in segno di impegno.
Reedus la stringe, soddisfatto – “La ringrazio: ho già
firmato il foglio del ricovero, per dopo domani e la rimetterò in piedi la sera
stessa, è la mia prassi”
“Con pieno successo, mi auguro”
“Non ha nulla da temere, dottor Lecter, ha la mia piena
assicurazione.”
Will sta spingendo Rebecca sopra un’altalena, mentre parla,
sorridente, con un’avvenente ragazza, che sembra lì per caso, con il suo cane
irrequieto, verso ogni passante.
Tranne che con Lecter, apparso, tra una folata di vento e
foglie, con il fiato corto, a disegnare l’atmosfera invernale, di sbuffi
bianchi ed evanescenti.
“Hannibal!” – “Papà!”
Entrambi gli corrono incontro e lui li raccoglie in un
abbraccio caloroso.
Juliette, si chiama così, si avvicina, con noncuranza, con il
suo pechinese al guinzaglio – “Lei piace anche a Mosquito” – dice sciolta, ma
senza guardarlo negli occhi.
Le palpebre di Lecter si sono assottigliate, per un attimo
sfuggente.
“Lui è”
“Hai già detto il mio nome, amore, così io ho appena
pronunciato il tuo” – gli sorride, ma quella distrazione, potrebbe non essere
banale.
“Vi lascio, ho un appuntamento, arrivederci William, ciao Rebecca”
– e sembra avere fretta, tanto che quel nome, lei non lo ripete.
“Era simpatica” – dice la loro principessa, senza perderla di
vista, finché Juliette non scompare nella Metro lì vicino.
“Il suo Inglese zoppicante, non lo era affatto, sai? Mentre
il suo Francese, davvero penoso” – dice sommesso Hannibal, esortando la bambina
di farsi un ultimo giro sullo scivolo, davanti a loro.
“Tu pensi quindi, che sia un’agente?”
“Tornerà a cercarti qui: fatti trovare, ma senza Becky; per
il resto, sai cosa fare, vero Will?”
Carboni ardenti, poi stille di ghiaccio, sensazioni
contrastanti, post operatorie.
“Tutto previsto, decorso regolare” – lo rassicura Reedus, con
una velata impazienza.
“Avanti, si alzi, non abbia paura dottor … Signor Bausen” –
l’infermiera è indaffarata con le medicine e la flebo da togliere, così il suo
aiuto, che neppure se ne accorge di quella gaffe mancata.
Hannibal si mette seduto, poi si erge, con ritrovato vigore –
“Sto meglio così, ha ragione”
“Vede com’era semplice?”
“Sì professor Reedus, più di quanto lei creda.”
Chiyo guida concentrata sul viale degli Champs Elisées, con a
bordo, sui sedili posteriori, due passeggeri speciali.
Uno convalescente, l’altro trepidante.
“Quindi, lei e Will vi siete sposati”
“In un certo senso”
E’ a tratti paradossale, quella conversazione.
“Siamo arrivati”
“Splendido quartiere, molto elegante” – sussurra Norman,
fantasticando sul suo interno, senza rimanerne deluso.
E’ adrenalina pura, quella che gli scorre nelle vene, così
champagne di annata egregia, pochi minuti dopo, tra il palato e la lingua
asciutti, per un minimo di tensione latente.
Graham ha preparato un delizioso aperitivo, lo corteggia
Hannibal, cingendolo da dietro, per baciarlo sulla nuca: sono loro tre e basta.
Chiyo è ridiscesa al suo alloggio, mentre di Rebecca, nemmeno
l’ombra.
“Cosa si mangia?” – domanda nervoso Reedus, rompendo quel
tacere, reciproco e assorto.
Will e Hannibal si guardano, memori di un qualcosa di loro –
“Mai chiedere, è una sorpresa” – sentenzia Graham, poi schiude le porte, su di
una sala adiacente, dove un desco spazioso, apparecchiato con stile, sembra
attenderli.
Completamente privo di cibo, questo salta subito all’occhio
di Norman, che ne rimane come indispettito, pensando di vedere chissà cosa.
Aveva letto avidamente ogni articolo, ogni reportage, sui
crimini di Lecter, sul suo modo di presentare piatti magnifici, che celavano un
orrendo segreto.
Eccolo lì, il segreto, scritto con ciliegie, intinte nel
cioccolato, al centro di un piatto ovale, al posto, riservatogli da Lecter.
E’ il suo nome, Norman
Reedus.
Un tripudio di fiammelle accese e profumi, aromi speziati.
Tutto è mutato.
La cena è servita.
Quante ore saranno trascorse, prova a chiedersi il professor
Reedus, legato ad una sedia, per i polsi e l’unica gamba rimastagli, la
sinistra.
“Ma … ma che cosa mi avete fatto?!” – urla disperato, la voce
impastata, seminudo e stordito da una forte anestesia.
Sul ripiano in ebano, spicca un lungo vassoio, ma oltre ad
esso, un corpo esanime, decorato di grappoli d’uva, melograni e pesche succose,
disteso su di un letto di foglie d’edera e palma.
Will, seduto in fronte a Hannibal, con Norman sistemato a
capo tavola, sorride, mentre infilza ingordo un lembo di coscia, ancora
fumante, che il compagno gli ha servito, con patate novelle e topinambur
marinati all’aneto.
“Sì, Juliette era davvero simpatica e … decorativa” – dice
masticando, appagato, l’ex consulente speciale dell’FBI.
“O comunque si chiamasse” – bissa Lecter, per poi rivolgersi
a Reedus, tremante ed esausto.
“Mio Dio, lasciatemi andare, non dirò niente, non vi tradirò,
vi supplico” – ansima, sudato e febbrile, un po’ patetico, pensano i suoi
ospiti.
“Per fare cosa? Tornare alla sua routine? Ma non ne era così
assuefatto e infastidito? Ora è con noi, si diverta, si goda la novità … Tra
poco la imboccheremo, così la sua esperienza sarà completa … Per la nostra,
chissà, decideremo in seguito, giusto Will?”
“Sì … Giusto, amore.”
Rebecca sgattaiola nel salotto di Chiyo, facendola
sobbalzare.
Lei era in attesa di ordini.
Per sbarazzarsi di quella Juliette e di Reedus, prima
possibile; perché correre inutili rischi, del genere poi?
Natale è prossimo e abbandonare la dolce Francia, così
ingiusto, pensa, osservando la bimba.
“Cosa stai facendo, tesoro?” – chiede incolore.
Becky sistema una bambola sul tappeto, poi un cestino da pic
nic, minuscolo, ma colmo di frutta e non solo.
Una ciotola di argento, contenente una mousse e delle cialde
salate.
“La merenda di mezzanotte!” – esclama lei, assaggiandone un
primo cucchiaio – “… me l’ha data papà”
“Eri quindi di sopra, con loro?”
“No, ero in camera mia” – spiega, più attenta al suo pasto,
che alla curiosità di quell’insolita istitutrice.
Chiyo ha un brivido, per la prima volta.
E non sarebbe stata
l’ultima.
The End …