martedì 26 gennaio 2016

NAKAMA - CAPITOLO N. 43

Capitolo n. 43 – nakama





Tre giorni prima di Natale


“Questa è una decorazione, l’unica che ho tenuto per me, tanto cara a mia madre”

Mikkelsen lo rivelò assorto, tenendo tra le dita un fiocco di neve stilizzato, in prezioso cristallo di Boemia.

“E’ fragile Mads …”

“Lo so amore, cosa non lo è, al mondo?” – e lo guardò con tenerezza, mentre se ne stavano seduti, a gambe incrociate, ai piedi di quell’enorme albero, acquistato da Gelson’s, il market dei divi di Hollywood.

“Dove la mettiamo?” – Will sorrise.

“Qui, un po’ nascosta, come le emozioni, che ci aiutano a vivere, ma che, spesso, non riusciamo a esternare” – anche il chirurgo sorrise, guardandolo.

“Ogni riferimento al sottoscritto è puramente casuale”

Risero.
Complici.




Pepe rovistò in fondo allo scatolone, stampato di orsi e babbi Natale, trovando il puntale giallo oro ed esultò, mentre lo sventolava sotto al naso di Glam e Robert.

Geffen lo prese sulle spalle, esortato anche dagli altri bimbi, tutti impegnati a decorare l’abete, nel salone di villa Meliti.

“Ok campione, compi il tuo dovere!” – disse allegro l’avvocato, senza sapere di essere spiato da Jared, fermo, quasi nascosto, sulla soglia di quell’ambiente vasto e lussuoso.

Peter non se lo fece ripetere e fissò l’estremo addobbo, su quel capolavoro di colori e luci.

Jude cinse da dietro il futuro marito, baciando Downey nel collo – “Ti amo tesoro” – gli disse piano ed amava ogni cosa di lui.

Robert quasi si commosse, mentre Glam faceva tornare sulla terra ferma il pestifero di casa, applaudito da Lula e dal resto dei familiari, riuniti per preparare una cena leggera, prima di mettersi in viaggio verso Aspen, alle prime luci dell’alba successiva.


“Glam sa aiutarti, senza deludere, perché tu sia felice”

La voce di Colin, lo investì in mezzo alle scapole: Leto si girò di scatto, incontrando il tono ed i quarzi sereni di Farrell, che lo strinse a sé, senza aggiungere altro, se non un bacio, caldo, assoluto.




Hemsworth spalancò la blindata, tenendo Tom in braccio, come se fosse una sposa.

Ciò gli sembrò persino bello.
Quanto avvenne poco dopo, assolutamente no.

La veemenza, con cui Chris lo spogliò, cambiò il ritmo delle sue pulsazioni e della sua esistenza, da quel preciso momento.

I suoi baci, voraci, il suo respiro, affannoso e bollente, lo avrebbero inebriato in altri tempi, anche se la rudezza del poliziotto non l’aveva mai del tutto conquistato.

I polsi di Tom cominciarono a dolere da subito, mentre il resto si frantumava, sotto le spinte e l’invasione di un uomo, che nulla più aveva di quel che Hiddleston avrebbe voluto sposare, di quel genitore, premuroso ed attento, che, forse, avrebbe reagito bruscamente ai capricci di Luna, alla prima occasione.

Al ritorno della figlia, ora al sicuro, tra le mura della residenza di Antonio.

“Chris ti … ti prego fermati … smettila”

Gli sembrò di svenire, faccia a faccia con lui, adesso, che lo aveva rigirato, come si fa voltando la pagina di un libro.

Dove non c’è più scritto nulla di buono.
Di amorevole.

“Che … che ti salta in mente … è un pezzo che non scopiamo” – quasi ringhiò, forte di un sovraccarico di energia e veemenza.

“Tu sei mio Tommy … Mio, accidenti!” – ed un singulto lo portò via, da quella stanza, mentre Tom perdeva i sensi e la stima di sé stesso.




“Io prima … Colin, vedi”

Farrell sorrise, sfiorandogli gli zigomi, mentre si erano appartati sopra ad un davanzale, nella biblioteca dell’ala ovest.

I colori del tramonto li stavano investendo, inevitabili e bellissimi.

Come Jared.

“Questo padre, che tu ancora cerchi …” – quasi un sussurro, la riflessione dell’irlandese, mentre il cantante lo stava fissando o semplicemente ammirando – “… posso capirti Jay e non è più una guerra, tra Glam e me … Lui è parte dei nostri giorni, del … del nostro amore, sai?”

“Hai detto una cosa così speciale Cole” – e si appese a lui, come un cucciolo impaurito.

La sua età, l’esperienza, la caparbietà, che Jared aveva messo in tante cose, durante il suo cammino, spesso complicato ed impervio, crollavano e si arrendevano ai sentimenti, che Farrell gli ispirava.

Da sempre.

Il suo slancio, sincero e presente, fece tremare Colin, che lo cullò.
A lungo.
Poi le sue mani, scivolarono sino all’addome di Leto, sotto al suo maglione intrecciato, nei colori dell’arancio e del viola, i suoi palmi, spalancati sul domani e sui rispettivi sogni, realizzati ogni volta, tra il sudore, le lacrime, per un legame, in grado di rinascere, anche dal peggiore degli incendi.

“Vuoi sposarmi, Jared Joseph Leto?” – chiese improvviso.

Efestione annuì.
Quella scena, girata per gioco, sarebbe finita in coda, alle decine di riprese, che Oliver Stone aveva realizzato esclusivamente per il suo diletto personale.

La troupe fece un applauso.
Colin James Farrell, l’Alessandro Magno preteso dal regista più controverso del ventunesimo secolo, stava baciando il suo partner lavorativo.

O di letto, come i più acidi, rumoreggiavano, da quando si erano spostati in Marocco.

Un contatto a stampo, che Colin avrebbe voluto trasformare in qualcosa di più intimo.
E bagnato, come il suo inguine.
Peccato che Jared gli fosse sfuggito, come una piuma nel vento torrido, di quel pomeriggio, ormai volto al termine.

Farrell lo rincorse.
Ostinato.

E soffocante nei modi.
Era di nuovo ubriaco.

“Ma dove scappi?!” – esclamò ridacchiando, mentre gli afferrava la vita sottile.

“Lasciami andare, cazzo!”

Leto era nervoso, probabilmente incazzato, pensò Colin, per la sera prima.
L’ennesimo litigio.
Perché la cocaina non era sparita, dal mobile nel bagno del “coglione di Dublino”, come lo aveva ribattezzato Shannon, nelle e-mail, che si scambiava con il fratello.


“Io … io non ti lascerò più andare via, da me, Jay” – disse, estatico, come rapito da quel ricordo.

Jared lo baciò, non senza avergli detto l’ultimo  “sì”.




La colonna di suv giunse verso l’ora di pranzo, nel piazzale del resort, che Geffen aveva prenotato quasi completamente.

Lui, però, non c’era.

“Ma dove cavolo è finito Glam?” – domandò Tim, cercando con lo sguardo anche Niall.

“Arriverà nel pomeriggio: un impegno di lavoro imprevisto” – replicò Kevin, facendo scendere con cura, Lula, Pepe, Thomas e Layla.

Horan era rimasto a Los Angeles, promettendo ai figli di raggiungerli per la vigilia.
Il bassista lo aggiornò anche su questo dettaglio.

“Niall non l’ha detto a me, ma a Glam” – spiegò sottovoce, per evitare i quesiti scomodi dei più piccoli.

Mads aveva parcheggiato dietro di loro.

Will si guardò intorno: era un luogo incantevole.

“Dio che freddo!” – brontolò il più anziano, andando a calargli sul volto arrossato, un berretto con tanto di pon pon in cima.

Buffo e simpatico, come l’espressione di Graham.

Poi la fronte di Mikkelsen si aggrottò, in direzione dell’ingresso a porte scorrevoli: ne erano appena usciti un giovane ed un signore più maturo.

Il ragazzo lo puntò, come se si conoscessero; in effetti era così.

“Da non credere … L’imperatore del bisturi: hanno forse aperto dei bordelli ad alta quota? I miei amici non mi hanno avvisato” – esordì, avvicinandosi, mentre il suo accompagnatore e presunto cliente, stava prenotando delle motoslitte, poco lontano da loro.

Mads deglutì a vuoto, mentre Will si era cristallizzato, tra bagagli e snow board.

“Ci conosciamo?” – bissò gelido l’uomo, reggendo la sua occhiata, tra la sfida e lo spregio.

“Amore qualcosa non va?” – Graham si fece coraggio ed azzerò la distanza, con fare comunque garbato.

Anche Vas si palesò, con la sua stazza imponente e qualche pessima intenzione, ritenne quello sfrontato, che si allontanò, togliendo Mikkelsen da quell’odioso imbarazzo.

“Vieni Will, andiamo!” – sbottò, prendendo il fidanzato per mano, senza più voltarsi indietro.




Boo era stato taciturno per l’intero pranzo.

Ora, aggrovigliati sotto al piumone, lui e Harry si stavano studiando, senza decidersi a chi dovesse parlarne per primo.

Styles prese fiato, anche se avrebbe voluto approfittare dell’assenza di Petra, già alla pista di pattinaggio con il resto della ciurma, in ben diversa maniera, facendo l’amore con Boo il più possibile.

“Lo so che ti manca, ok?” – disse sommesso il ricciolo.

Tomlinson si morse le labbra, adorabile e puro.

“Sono già rimasto orfano, ci sono abituato”

“Ma stanno tutti bene e ti vogliono bene, Lou, da tuo padre, a tua madre … a Vincent” – e sorrise, assecondando quel suo periodo di afflizione, che sembrava non volere finire mai.

“Pensi davvero che stia bene?”

Spezzava il cuore, con quei suoi cieli limpidi, verso i quali, le farfalle, che Harry percepiva nello stomaco, potevano librarsi in ogni attimo di loro.

Qualcuno bussò.

“Io non ho voglia di scendere, di andare a sciare, scusami Hazza”

“Idem, ma vado io ad aprire, tu rimani qui, ok?”

Oltre quell’ambiente, c’era un salottino, che Styles attraversò veloce, per poi rimanere fermo, immobile, dopo avere aperto la porta.

Senza parole.




“Mads …”

“Non adesso ok?”

La sua reazione era prevedibile.

Graham aveva capito tutto.

“Ecco vedi Will, questo è il tipico esempio, di come un certo passato mi tormenterà senza soluzione di sorta!” – esplose, al centro del living.

Avevano mangiato senza muoversi dalla suite, in un silenzio greve, doloroso.

“Se te la prendi con me, per queste cose, non risolverai mai niente, Mads” – bissò serio e composto.

Mikkelsen si passò le mani tra i capelli lisci e dai riflessi dorati – “Mio Dio … Io non volevo tesoro … Io non so più quello che dico, perdonami” – e quasi scoppiò in lacrime, abbracciandolo, con disperazione.

“Sfogati … e non avere paura di piangere, Mads” – disse con dolcezza, massaggiandogli la schiena ampia e virile.

Si diedero un bacio.

Sentendosi, finalmente, un po’ meno soli.













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