venerdì 6 ottobre 2017

NAKAMA - CAPITOLO N. 98

Capitolo n. 98 – nakama



“Ma non hai pensato alle tue bambine accidenti!?!”

La voce di JD esplose, appena varcata la soglia di quella camera, in un motel sperduto, al quale si erano fermati, dopo avere macinato decine di chilometri, perdendone il conto.

“E a Philip!? A nostro figlio!!”

Morgan aveva ragione su tutto e le sue urla gli stavano spezzando la schiena, mentre Reedus rimaneva tremante di spalle a lui, le mani artigliate al ripiano di una cucina scassata, la fronte contro gli sportelli del pensile, unto di chissà quante uova e bacon, preparate da qualche disperato prima di loro, in quella topaia, dove nessuno avrebbe fatto domande scomode.

Finalmente si girò, per affrontarlo, con la stessa rabbia, dolorosa e insostenibile.

“Certo che l’ho fatto maledizione!! Abbiamo quindici giorni, dove nessuno mi cercherà, sono in vacanza per il distretto e risolverò anche questo casino!”

JD rise in una smorfia, gli occhi lucidi di pianto e livore – “E così, mentre noi siamo in luna di miele, tu risolverai questo casino?!! Io mi sarei fatto al massimo otto, dei dodici anni della nuova condanna, forse anche meno, per buona condotta, perché avrei rigato dritto, per Philip, per te, per noi!! Ora come minimo mi beccherò l’ergastolo cazzo! Mica mi crederanno quando dirò loro che quel coglione del mio uomo pensava di essere Mad Max!!”

Norman incrociò le braccia sul petto, fremendo, spaesato e sfinito.
JD azzerò la distanza e con un gesto sicuro, ma colmo di tenerezza, lo avvolse – “Tornerò a Los Angeles, dirò che volevano farmi fuori, magari quelli della vecchia banda, ma sono riuscito a fuggire. Tu resta in giro ancora per un po’, magari vai a Las Vegas, ok?” – gli propose, brandendo il suo viso, sfigurato di lacrime e afflizione.

“Tu davvero non capisci … Io non ti voglio in galera, in fondo non hai fatto del male a nessuno, ci sei andato solo di mezzo” – disse piano, come se qualcuno potesse ascoltare le sue parole e scovarli, nel loro nascondiglio.

Morgan lo baciò, intenso, assoluto.

Lo spogliò lento, cercando la sua pelle, la sua carne, bollente e ricettiva, al suo tocco, alla sua bocca, che percorse, appassionato, ogni centimetro del corpo di Reedus, fatto di tatuaggi, sudore e ambra.

Fecero l’amore lì, senza spostarsi, seppure volando.

Via da quel disastro, da un’esistenza complicata e ribelle, per molti versi folle.

Folle, come un amore vero.
Vero da morire.





Geffen posò il bicchiere di whisky, dopo avere riattaccato con Hemsworth.
Chris credeva che Norman fosse in ferie ed era meglio così.
Così com’era meglio, che Philip non sapesse nulla, sulle sorti del padre.
Glam era riuscito a isolarlo da ogni contatto mediatico, pregando Lukas di non informarlo sull’evasione di JD.

Meliti spense il sigaro, grugnendo come al solito, in un’espressione beffarda – “Restane fuori, una volta tanto e poi che ne sai, magari Reedus è davvero a fare baldoria, da qualche parte”

Geffen lo scrutò severo – “Ma dico, scherzi? Quello era lui, armato sino ai denti, pronto a tutto per liberare il suo amante! Quei due bastardi hanno rovinato la vita a Paul, a Philip, alle loro famiglie!”

“Vivono in maniera spericolata, difendono la loro storia, ma qualcosa mi dice, che sia dipeso tutto da Norman, se era veramente lui, come dici tu” – obiettò il patriarca.

“D’accordo o meno, la situazione di Morgan si è ulteriormente aggravata, mentre per Reedus è anche peggio: un poliziotto in carcere, fa sempre una brutta fine”

“Forse nessuno li cercherà, Morgan è già dato per spacciato, perché testimone scomodo, di una rapina, dove solo lui ha pagato per tutti; magari qualcuno ha temuto che non mantenesse il silenzio, vedi, è semplice”

“Antonio sei un inguaribile ottimista” – Geffen rise storto, prendendo una sigaretta, da una custodia in argento, dono di Jared.

Jared, che stava origliando come un ladro, pronto a fare rapporto a Jude, Robert e Colin, imboscati nel salottino, adiacente la biblioteca di Meliti.





Il sorriso di Scott si spense, appena li vide.
Addormentati, come due cuccioli, intrecciati quanto un destino, al proprio inevitabile divenire.

Il medico, posò sulla mensola caffè e croissant caldi: aveva appena smontato dal turno di notte, nessun party per lui, ma solo emergenze e ricoveri urgenti, per sbornie da coma etilico.

Geffen rispose subito alla sua telefonata, dopo essere uscito sulla terrazza centrale, per una boccata d’aria e fumare in santa pace, lontano dalle lagne dei suoi ex.

“Auguri Scotty” – sorrise.

“Ne ho davvero bisogno”

“Come mai questa voce?” – si incuriosì.

“Possiamo … Possiamo stare un po’ insieme?”

“Che succede?” – ora era preoccupato.

“Succede che sto di merda, Glam” – e ingoiò un singulto scomodo, del quale vergognarsi, alla sua età.

Con la sua esperienza.

“Dove sei?”
“Al lavoro, ma ho finito, stavo andando a casa, ma non ho nessuna voglia di andarci”

“Va bene, troviamoci lì, vuoi?”

“Ci vieni per davvero Glam?”

“Certo. Promesso.”





“A me loro sono sembrate brave persone, li ho visti con Philip”
Jared si stava mangiando le pellicine, infagottato in un plaid, davanti al camino, decorato e scoppiettante.

Jude sbuffò – “Per me Norman si è cacciato in un vicolo cieco”

Robert annuì mestamente, seguendo il loro interagire, mentre Colin, alla terza tisana digestiva, faticava a connettere lucidamente.

“Suo padre, JD giusto? Ecco, era dolce con il figlio e poi si è costituito” – proseguì, per poi zittirsi, al palesarsi di Geffen.

“JD Morgan ha abusato per anni, in carcere, di Rovia, l’ex di Norman per giunta e Paul, colmo dei colmi, appena se l’è visto davanti, quell’aguzzino, ha sorriso, come se gli fosse apparso un Dio in terra!” – affermò rigido, restando sulla porta, mentre si allacciava il cappotto corto e modaiolo.

Leto sgranò i suoi zaffiri – “Spesso si finisce per amare, chi ci ferisce, perché anche quella è una forma di attenzione, molto distorta, è ovvio” – asserì intristendosi.

Colin perse un battito.
Così Jude.

Robert andò a consolare Jared, estremamente felice di averlo ritrovato, amico e complice, quanto un tempo, dopo tante incomprensioni.

Forse quel nuovo anno, stava già portando loro, qualcosa di buono.





Pinkman rispose assonnato alla chiamata di White, mentre Paul si stiracchiava.

“Ciao Jesse, stavi dormendo?” – domandò l’ex prof, un po’ concitato.

Forse non voleva farsi sentire da Skyler o dai figli, pensò subito il giovane.

“No, cioè sì … Ma che ore sono, lì da te?”

“Quasi le sei, Jesse” – continuava a ripetere il suo nome, appiccandosi il cellulare all’orecchio, per ascoltarne anche i respiri.

“Dunque qui è ora di pranzo”

“Non hai fatto colazione?” – chiese più apprensivo.
Pinkman era talmente magro, che White lo sgridava sempre, quando saltava i pasti.

“Qualcuno l’ha portata …” – ma fu un sussurro, che un’interferenza provvidenziale, impedì all’altro di capire.

“Come scusa?”

“No niente Walt, come stanno i tuoi?”

§ Ma non sono i miei, non li sono stati mai §
Lo pensò, senza riuscire a dirlo.
C’era di nuovo un muro, tra loro.
Lo aveva rialzato lui, era evidente a entrambi.

“Scioccati direi nel rivedermi”

“Lo immagino, ma adesso devo salutarti, ho un appuntamento in centro, ciao” – e chiuse secco, senza dargli modo di aggiungere altro.

Jesse voleva non farselo importare.
Rovia sorrise.

“Perché non vai da lui?”

“A New York? Ma scherzi, a fare cosa?” – replicò brusco, mettendosi seduto sul bordo.

Paul lo baciò lieve tra le scapole, cingendone poi la vita sottile.

“A dirgli che lo ami, che lui è tutto per te” – pronunciò in un soffio, la guancia appoggiata alla spalla destra dell’altro.

Pinkman si girò – “A chi lo vorresti dire tu, invece?”

Rovia fece spallucce – “A nessuno … Tu sei fortunato, qualcuno ce l’hai”

“E io non conto niente?” – si lamentò adorabile.

Paul lo baciò.
L’aveva fatto per ore, sbirciando i fuochi d’artificio, avvinghiato nudo a Jesse, oltre le vetrate della sua stanza alla Foster.

Forse era stato solo un sogno.






Senza neppure sapere come, erano arrivati a letto, continuando ad appartenersi, come se non fosse accaduto nulla di irreparabile.

JD gli diede un ultimo bacio e non sarebbe mai stato così.
Loro sarebbero stati per sempre, da qualche parte, in quell’universo parallelo, fatto di polvere da sparo, di deserto, infine di stelle, perché morirne, di un amore incomprensibile al mondo, là fuori, era la destinazione già segnata.

Di sicuro lo avevano pensato, lui e Norman, più di una volta.

“Non … Non uscire da me, non ancora … Non farlo” – quasi gli pianse nel collo, Reedus, appendendosi al suo sembiante più massiccio, ma altrettanto vulnerabile.

“Io rimarrò accanto a te, anche quando non ci sarò tesoro … Lasciami andare, lascia che risolva io, il nostro casino …” – lo implorò.

“No, non può finire così”




Riposare sul suo petto era così rassicurante.
Su quel cuore, ricamato di cicatrici, dentro e fuori, dove Scott aveva persino messo le mani, salvandolo in più di un’occasione.

Eppure Geffen non gli era grato solo per questo: il suo modo di non amarlo, era, forse, un sentimento più onesto di molti altri.

“Stai meglio?” – chiese piano, l’uomo dalle mille vite, dai troppi misteri.

Scott fece un cenno di assenso, senza spostarsi.

“Volevo proteggerlo da Pinkman, così tu da JD, ma Paul, probabilmente, subisce il fascino della corruzione, dell’illegalità, magari è colpa di ciò che gli ha fatto subire il padre, un paladino della giustizia”

“Non sapevo di avere appena fatto l’amore con Laurie e non sceglierei Hugh, è ovvio” – scherzò Glam, mettendosi speculare, per guardarlo.

Ancora un bacio.

Scott era quello giusto, ma lui non l’avrebbe ammesso mai.

Il suo cellulare iniziò a vibrare e Geffen rispose di malavoglia.

Un numero sconosciuto.

“Sì?”

“Parlo con Glam Geffen?”

“Sono io, chi parla?”

“Sono l’assistente del senatore Palmer, glielo passo”

“Ok …”

“Glam?”

“Ciao Adam, quanto tempo” – disse perplesso.

“Già, secoli e mi dispiace disturbarti oggi, ma se ti cerco è per un problema davvero grave” – bissò angosciato.

“Ti ascolto”

“Si tratta di mio figlio, Josh, ha solo sedici anni, è sparito, capisci?”

“Ma forse è in giro e”

“No, ho già ricevuto una richiesta di riscatto e questa chiamata te la sto facendo da una linea riservata” – chiarì, in piena fibrillazione.

“Come posso aiutarti?”

“Non ne ho idea, ma non voglio sbirri e tu hai risorse illimitate” – poi fece una pausa – “… direi inspiegabili.”




Rovia firmò per le dimissioni volontarie, contro il parere dell’aiuto di Foster.

La luce di quel sole pallido lo infastidì.

Jesse lo sorresse un minimo, sino al primo taxi disponibile, stazionato davanti alla clinica.

Salirono.
Paul si morse le labbra – “Prima vada al Lax, poi al molo quindici, grazie”

“Ma”

“Taci brutto imbecille” – disse lieve, l’unico erede della dinastia Nelson, sorridendo, mentre lo guardava.

Pinkman abbassò i propri cieli, incantevoli, da bruciare l’anima.
Quella di Rovia era un abisso di colori e luci.

Specchiarvisi, per Jesse, era stato facile, dal primo istante.

Era stato così bello.

“Soldi ne hai?”

“Sì Paul … Ma cosa faccio, quando sono là?”

“Qualcosa ti inventerai: ne sono sicuro.”

Passarono davanti ad un cartellone pubblicitario, l’ennesimo, prima dell’uscita per l’aeroporto.

Spiccava tra tutto il resto, che sembrava come spento.

Un arcobaleno ed una scritta cangiante.

Make love your go.











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