Capitolo n. 97 – nakama
L’alba del primo
gennaio, ocra e argento, per la coltre di smog su Los Angeles, sembrò ficcarsi
nelle iridi di Jesse, impalato davanti alle vetrate del Lax, mentre guardava decollare
l’aereo di White, destinazione New York.
Doveva essere bellissima,
la grande mela, al primo risveglio di quel giorno.
Forse.
Percepire il profumo di
Downey, fu la sensazione successiva, a quel malessere, che nel cuore del
ragazzino, stava prendendo il sopravvento.
Pinkman si voltò ed era
davvero incredibile, che l’attore avesse risposto al suo messaggio.
“Stavo tornando a casa”
– spiegò poco dopo l’uomo, appena saliti in auto – “per le medicine di Camy, le
deve prendere sempre, sono per la sua sindrome di Angelman”
Durante il breve tragitto,
Pinkman, lo stordì con una ricca cronaca dei fatti recenti.
“Torni a villa Meliti,
quindi?” – chiese infine, incolore, lo studente, scrutando ancora l’orizzonte,
come se il volo di Walt potesse rientrare da un momento all’altro; ma di
sorprese, quel mattino, ce ne erano già state a sufficienza.
“Sì, sono tutti dal
nonno …” – Robert prese fiato – “Jude, le bimbe, il resto della famiglia
insomma” – sorrise, parcheggiando.
“Ti aspetto qui” –
Jesse tirò su dal naso, buffo, inerme.
Downey gli diede una
carezza, sulla gamba, abbandonando il volante, ma non lui.
Si sporse, per un bacio
casto, sulla guancia ispida del giovane.
“Faccio schifo, vero?
Devo rasarmi” – e sembrò fare fatica persino a respirare, a vivere.
“No, affatto: Jesse
ascolta, lui tornerà, è solo un periodo storto, di crisi, ma anche tu con Paul,
non sei stato del tutto corretto, anche se dovrei solo starmene zitto”
Jesse sorrise
finalmente.
Era bello, arruffato e
confuso, nei suoi anni, ai quali era miracolosamente scampato.
“Facciamo solo cazzate,
vero? Non riusciamo a essere stabili, non so perché Rob, eppure ad Albuquerque
funzionava, eravamo solo noi … contro tutti” – e si contorse le mani,
sentendole fredde, come il resto di sé.
“Preferivi quella vita?”
“Temo di sì, anche se è
stato allucinante”
“Non ne so molto, a
parte qualche cosa, generica, dai rimproveri di Glam”
“Sul fatto che ci siamo
frequentati?”
“Infatti … E’ stato
surreale”
“E solo nella tua testa
Robert” – rise divertito.
“Già … Forse un monito,
forse no”
“E ti piacevo?” –
domandò a sorpresa.
“Certo” – ammise l’artista,
senza pensarci un attimo.
Era terribilmente vero
e forse, quella relazione, se mai fosse accaduta nella realtà, avrebbe potuto
mandare in pezzi il suo matrimonio con Law, una volta per tutte.
“Mi gratifichi, però io
tornerò sempre da Walt e tu da Jude”
Downey inspirò – “Hai
ragione piccolo: torno subito, ok?”
Jared rise sonoramente –
“Tu sei matto a fare il bagno a quest’ora Glam!”
Geffen emerse dalla
piscina ovale della residenza di Antonio, lasciando che timidi raggi di sole,
accarezzassero il suo corpo solido e ben allenato, mentre si avvicinava a Leto,
pronto a offrirgli un candido e ampio accappatoio.
“Tieni, rischi un
raffreddore” – disse più incerto il cantante.
“Di solito sono io a
farti certe raccomandazioni Jay” – Glam sorrise, tamponandosi.
“Dovrei chiamarti
senatore” – lo canzonò, riaccomodandosi sui cuscini tinta avana, del primo
lettino a tiro.
“Dovresti essere a
letto con tuo marito” – il legale cambiò discorso, restando in piedi.
“Era un po’ brillo ieri
sera, poi troppe melanzane e burrito, russava come un tricheco spiaggiato”
Risero.
“E tu con chi dovresti
essere a letto, Glam?” – bissò provocatorio.
“Con Lula e Pepe, che
sono ancora sotto al piumone” – rispose tranquillo, senza raccogliere, mentre
si sedeva al suo fianco.
Leto si guardò in giro,
non c’era anima viva, il menu di Pam aveva steso tutti.
“Che succede Glam?”
“Niente”
“Al veglione eri
assente, distante, di solito sei il re della festa”
“Ho perso un po’ di
pezzi, ho perso un po’ di me, forse” – ammise stanco, all’improvviso.
“Ti manca Denny?”
“Perché proprio Denny?”
“Non si è visto”
“Non ho una relazione
con lui, non so più come dirtelo” – rise tirato.
“Ma a me, Glam, non
devi mica dire nulla o giustificarti”
“Ecco bravo” – e si
rialzò.
“Comunque sei
antipatico, iniziamo bene” – brontolò infantile.
Geffen lo fissò.
“Ti voglio bene Jay” –
e se ne andò, senza ascoltare alcuna replica, che arrivò in ritardo, sommessa.
“Ti
amo Glam.”
Reedus aveva compilato i
rapporti, appena dopo la mezzanotte, sbrigativo e con il cuore spezzato, mentre
i complimenti del capo della polizia, collidevano, nella sua testa, con il discorso,
che JD Morgan gli aveva fatto, prima di costituirsi volontariamente.
Il gesto del latitante,
avrebbe fatto buona impressione al giudice.
Certo non nell’immediato,
visto il periodo di festività, quindi il trasferimento al carcere della contea,
venne disposto per il pomeriggio stesso, nonostante fosse capodanno.
La coppia rimase poche ore
al distretto, per impostare il fascicolo con l’avvocato d’ufficio, irritabile e
alle prime armi; Norman non li aveva mai lasciati da soli, con la scusa dei
moduli da compilare, per quell’arresto dai lati oscuri; ma nessuno aveva voglia
di indagare a fondo.
Morgan non aveva
resistito e il fare visita al figlio, aveva dato l’opportunità al nuovo tenente
della sezione persone scomparse, presente alla Foster quasi per caso, di convincerlo
ad arrendersi.
Reedus era troppo stimato,
per sollecitargli inutili chiarimenti.
Reedus, che si procurò un
furgone, con paraurti rinforzati, abbastanza capiente per contenere due HD, con
il serbatoio pieno e ruote anti foratura di ultima generazione.
Reedus, che stava
seguendo, da almeno quindici minuti, il blindato, diretto al penitenziario di
Chino, all’estrema periferia della città.
Reedus, che per amore
di JD Morgan, inconsapevole della sua folle iniziativa, si stava cacciando in
un guaio senza ritorno.
Pinkman salutò
frettolosamente il suo autista speciale, una volta fermatisi nel parcheggio
dell’ospedale.
“Ti ringrazio Robert e …
E ti auguro il meglio, con Jude e le vostre cucciole”
Downey lo abbracciò,
affettuoso – “Andrà tutto bene Jesse, ma tu vacci piano con Paul: non ha
bisogno di ulteriori delusioni, ok?”
“Ok” – sospirò amaro,
poi se ne andò.
Come
un gabbiano, tra il mare e il cielo.
Rovia stava riposando
sereno.
Pinkman sorrise,
avvicinandosi al suo capezzale.
Paul schiuse le
palpebre, avvertendo la sua presenza.
“Lo vuoi uno spinello?”
– chiese Jesse, come divertito, ma così emozionato.
Poi si strinsero.
“Cos’hai fatto, brutto
imbecille” – sussurrò Pinkman.
“Una stronzata … Una
più, una meno” – si stavano guardando adesso.
Baciarsi era ciò che
restava da fare.
Da
vivere.
Speronarli fu semplice,
appena dopo avere imboccato quella via laterale.
Quindi scendere,
indossando già un casco integrale, per renderlo irriconoscibile, ma nessuno
degli agenti ci sarebbe riuscito, dato lo shock appena subito.
Un lacrimogeno acuì la
confusione e l’arma semiautomatica, imbracciata da Norman, fece il resto, ma
solo per far saltare la serratura del portellone sul retro del mezzo,
ribaltatosi su di un fianco.
Nessuno venne ucciso.
Morgan, tossendo e
imprecando, ne uscì, sconvolto e incredulo.
Aveva capito.
Era assurdo, ma stava
succedendo sul serio.
“Presto muoviti, metti
questo e non respirare!” – gli urlò Reedus, esortandolo poi a scaricare le
moto, grazie alle quali si sarebbero allontanati in fretta da quell’inferno.
Verso
uno nuovo, JD ne fu certo, tragicamente certo.
I tg serali diedero
ampio spazio a quell’evasione.
La testimonianza dei
poliziotti, rimasti illesi, fu praticamente priva di particolari utili alle
indagini.
Nessuno notò peraltro l’assenza
di Reedus, che aveva preso ferie arretrate per le due settimane successive.
Più che meritate dopo
la cattura di Morgan.
"Chissà
come si sarà incazzato", commentarono i colleghi, appena saputo
di quella clamorosa fuga.
JD si era fatto amici
pericolosi ai tempi della detenzione.
Forse aveva qualche
segreto o bottino, nascosto in quella metropoli di pazzi.
Tutto era possibile.
Tranne
l’impossibile.
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