Capitolo n. 98 – nakama
“Ma non hai pensato alle tue bambine accidenti!?!”
La voce di JD esplose,
appena varcata la soglia di quella camera, in un motel sperduto, al quale si
erano fermati, dopo avere macinato decine di chilometri, perdendone il conto.
“E a Philip!? A nostro
figlio!!”
Morgan aveva ragione su
tutto e le sue urla gli stavano spezzando la schiena, mentre Reedus rimaneva
tremante di spalle a lui, le mani artigliate al ripiano di una cucina scassata,
la fronte contro gli sportelli del pensile, unto di chissà quante uova e bacon,
preparate da qualche disperato prima di loro, in quella topaia, dove nessuno
avrebbe fatto domande scomode.
Finalmente si girò, per
affrontarlo, con la stessa rabbia, dolorosa e insostenibile.
“Certo che l’ho fatto
maledizione!! Abbiamo quindici giorni, dove nessuno mi cercherà, sono in
vacanza per il distretto e risolverò anche questo casino!”
JD rise in una smorfia,
gli occhi lucidi di pianto e livore – “E così, mentre noi siamo in luna di
miele, tu risolverai questo casino?!! Io mi sarei fatto al massimo otto, dei
dodici anni della nuova condanna, forse anche meno, per buona condotta, perché
avrei rigato dritto, per Philip, per te, per noi!! Ora come minimo mi beccherò
l’ergastolo cazzo! Mica mi crederanno quando dirò loro che quel coglione del
mio uomo pensava di essere Mad Max!!”
Norman incrociò le
braccia sul petto, fremendo, spaesato e sfinito.
JD azzerò la distanza e
con un gesto sicuro, ma colmo di tenerezza, lo avvolse – “Tornerò a Los
Angeles, dirò che volevano farmi fuori, magari quelli della vecchia banda, ma
sono riuscito a fuggire. Tu resta in giro ancora per un po’, magari vai a Las
Vegas, ok?” – gli propose, brandendo il suo viso, sfigurato di lacrime e
afflizione.
“Tu davvero non capisci
… Io non ti voglio in galera, in fondo non hai fatto del male a nessuno, ci sei
andato solo di mezzo” – disse piano, come se qualcuno potesse ascoltare le sue
parole e scovarli, nel loro nascondiglio.
Morgan lo baciò,
intenso, assoluto.
Lo spogliò lento, cercando
la sua pelle, la sua carne, bollente e ricettiva, al suo tocco, alla sua bocca,
che percorse, appassionato, ogni centimetro del corpo di Reedus, fatto di
tatuaggi, sudore e ambra.
Fecero l’amore lì,
senza spostarsi, seppure volando.
Via da quel disastro,
da un’esistenza complicata e ribelle, per molti versi folle.
Folle, come un amore
vero.
Vero
da morire.
Geffen posò il
bicchiere di whisky, dopo avere riattaccato con Hemsworth.
Chris credeva che
Norman fosse in ferie ed era meglio così.
Così com’era meglio,
che Philip non sapesse nulla, sulle sorti del padre.
Glam era riuscito a
isolarlo da ogni contatto mediatico, pregando Lukas di non informarlo
sull’evasione di JD.
Meliti spense il
sigaro, grugnendo come al solito, in un’espressione beffarda – “Restane fuori,
una volta tanto e poi che ne sai, magari Reedus è davvero a fare baldoria, da
qualche parte”
Geffen lo scrutò severo
– “Ma dico, scherzi? Quello era lui, armato sino ai denti, pronto a tutto per
liberare il suo amante! Quei due bastardi hanno rovinato la vita a Paul, a
Philip, alle loro famiglie!”
“Vivono in maniera
spericolata, difendono la loro storia, ma qualcosa mi dice, che sia dipeso
tutto da Norman, se era veramente lui, come dici tu” – obiettò il patriarca.
“D’accordo o meno, la
situazione di Morgan si è ulteriormente aggravata, mentre per Reedus è anche
peggio: un poliziotto in carcere, fa sempre una brutta fine”
“Forse nessuno li
cercherà, Morgan è già dato per spacciato, perché testimone scomodo, di una
rapina, dove solo lui ha pagato per tutti; magari qualcuno ha temuto che non
mantenesse il silenzio, vedi, è semplice”
“Antonio sei un
inguaribile ottimista” – Geffen rise storto, prendendo una sigaretta, da una
custodia in argento, dono di Jared.
Jared, che stava origliando
come un ladro, pronto a fare rapporto a Jude, Robert e Colin, imboscati nel
salottino, adiacente la biblioteca di Meliti.
Il sorriso di Scott si
spense, appena li vide.
Addormentati, come due
cuccioli, intrecciati quanto un destino, al proprio inevitabile divenire.
Il medico, posò sulla
mensola caffè e croissant caldi: aveva appena smontato dal turno di notte,
nessun party per lui, ma solo emergenze e ricoveri urgenti, per sbornie da coma
etilico.
Geffen rispose subito
alla sua telefonata, dopo essere uscito sulla terrazza centrale, per una
boccata d’aria e fumare in santa pace, lontano dalle lagne dei suoi ex.
“Auguri Scotty” –
sorrise.
“Ne ho davvero bisogno”
“Come mai questa voce?”
– si incuriosì.
“Possiamo … Possiamo
stare un po’ insieme?”
“Che succede?” – ora
era preoccupato.
“Succede che sto di
merda, Glam” – e ingoiò un singulto scomodo, del quale vergognarsi, alla sua
età.
Con la sua esperienza.
“Dove sei?”
“Al lavoro, ma ho
finito, stavo andando a casa, ma non ho nessuna voglia di andarci”
“Va bene, troviamoci
lì, vuoi?”
“Ci vieni per davvero
Glam?”
“Certo. Promesso.”
“A me loro sono
sembrate brave persone, li ho visti con Philip”
Jared si stava
mangiando le pellicine, infagottato in un plaid, davanti al camino, decorato e
scoppiettante.
Jude sbuffò – “Per me
Norman si è cacciato in un vicolo cieco”
Robert annuì
mestamente, seguendo il loro interagire, mentre Colin, alla terza tisana
digestiva, faticava a connettere lucidamente.
“Suo padre, JD giusto?
Ecco, era dolce con il figlio e poi si è costituito” – proseguì, per poi
zittirsi, al palesarsi di Geffen.
“JD Morgan ha abusato
per anni, in carcere, di Rovia, l’ex di Norman per giunta e Paul, colmo dei
colmi, appena se l’è visto davanti, quell’aguzzino, ha sorriso, come se gli
fosse apparso un Dio in terra!” – affermò rigido, restando sulla porta, mentre
si allacciava il cappotto corto e modaiolo.
Leto sgranò i suoi
zaffiri – “Spesso si finisce per amare, chi ci ferisce, perché anche quella è
una forma di attenzione, molto distorta, è ovvio” – asserì intristendosi.
Colin perse un battito.
Così Jude.
Robert andò a consolare
Jared, estremamente felice di averlo ritrovato, amico e complice, quanto un
tempo, dopo tante incomprensioni.
Forse quel nuovo anno,
stava già portando loro, qualcosa di buono.
Pinkman rispose
assonnato alla chiamata di White, mentre Paul si stiracchiava.
“Ciao Jesse, stavi
dormendo?” – domandò l’ex prof, un po’ concitato.
Forse non voleva farsi
sentire da Skyler o dai figli, pensò subito il giovane.
“No, cioè sì … Ma che
ore sono, lì da te?”
“Quasi le sei, Jesse” –
continuava a ripetere il suo nome, appiccandosi il cellulare all’orecchio, per
ascoltarne anche i respiri.
“Dunque qui è ora di
pranzo”
“Non hai fatto
colazione?” – chiese più apprensivo.
Pinkman era talmente
magro, che White lo sgridava sempre, quando saltava i pasti.
“Qualcuno l’ha portata
…” – ma fu un sussurro, che un’interferenza provvidenziale, impedì all’altro di
capire.
“Come scusa?”
“No niente Walt, come
stanno i tuoi?”
§
Ma non sono i miei, non li sono stati mai §
Lo pensò, senza
riuscire a dirlo.
C’era di nuovo un muro,
tra loro.
Lo aveva rialzato lui,
era evidente a entrambi.
“Scioccati direi nel
rivedermi”
“Lo immagino, ma adesso
devo salutarti, ho un appuntamento in centro, ciao” – e chiuse secco, senza
dargli modo di aggiungere altro.
Jesse voleva non
farselo importare.
Rovia sorrise.
“Perché non vai da
lui?”
“A New York? Ma
scherzi, a fare cosa?” – replicò brusco, mettendosi seduto sul bordo.
Paul lo baciò lieve tra
le scapole, cingendone poi la vita sottile.
“A dirgli che lo ami,
che lui è tutto per te” – pronunciò in un soffio, la guancia appoggiata alla
spalla destra dell’altro.
Pinkman si girò – “A
chi lo vorresti dire tu, invece?”
Rovia fece spallucce –
“A nessuno … Tu sei fortunato, qualcuno ce l’hai”
“E io non conto
niente?” – si lamentò adorabile.
Paul lo baciò.
L’aveva fatto per ore,
sbirciando i fuochi d’artificio, avvinghiato nudo a Jesse, oltre le vetrate
della sua stanza alla Foster.
Forse
era stato solo un sogno.
Senza neppure sapere
come, erano arrivati a letto, continuando ad appartenersi, come se non fosse
accaduto nulla di irreparabile.
JD gli diede un ultimo
bacio e non sarebbe mai stato così.
Loro sarebbero stati
per sempre, da qualche parte, in quell’universo parallelo, fatto di polvere da
sparo, di deserto, infine di stelle, perché morirne, di un amore
incomprensibile al mondo, là fuori, era la destinazione già segnata.
Di sicuro lo avevano
pensato, lui e Norman, più di una volta.
“Non … Non uscire da
me, non ancora … Non farlo” – quasi gli pianse nel collo, Reedus, appendendosi
al suo sembiante più massiccio, ma altrettanto vulnerabile.
“Io rimarrò accanto a
te, anche quando non ci sarò tesoro … Lasciami andare, lascia che risolva io,
il nostro casino …” – lo implorò.
“No, non può finire
così”
Riposare sul suo petto
era così rassicurante.
Su quel cuore, ricamato
di cicatrici, dentro e fuori, dove Scott aveva persino messo le mani, salvandolo
in più di un’occasione.
Eppure Geffen non gli
era grato solo per questo: il suo modo di non amarlo, era, forse, un sentimento
più onesto di molti altri.
“Stai meglio?” – chiese
piano, l’uomo dalle mille vite, dai troppi misteri.
Scott fece un cenno di
assenso, senza spostarsi.
“Volevo proteggerlo da
Pinkman, così tu da JD, ma Paul, probabilmente, subisce il fascino della
corruzione, dell’illegalità, magari è colpa di ciò che gli ha fatto subire il
padre, un paladino della giustizia”
“Non sapevo di avere
appena fatto l’amore con Laurie e non sceglierei Hugh, è ovvio” – scherzò Glam,
mettendosi speculare, per guardarlo.
Ancora un bacio.
Scott
era quello giusto, ma lui non l’avrebbe ammesso mai.
Il suo cellulare iniziò
a vibrare e Geffen rispose di malavoglia.
Un numero sconosciuto.
“Sì?”
“Parlo con Glam Geffen?”
“Sono io, chi parla?”
“Sono l’assistente del
senatore Palmer, glielo passo”
“Ok …”
“Glam?”
“Ciao Adam, quanto
tempo” – disse perplesso.
“Già, secoli e mi
dispiace disturbarti oggi, ma se ti cerco è per un problema davvero grave” –
bissò angosciato.
“Ti ascolto”
“Si tratta di mio
figlio, Josh, ha solo sedici anni, è sparito, capisci?”
“Ma forse è in giro e”
“No, ho già ricevuto
una richiesta di riscatto e questa chiamata te la sto facendo da una linea
riservata” – chiarì, in piena fibrillazione.
“Come posso aiutarti?”
“Non ne ho idea, ma non
voglio sbirri e tu hai risorse illimitate” – poi fece una pausa – “… direi
inspiegabili.”
Rovia firmò per le
dimissioni volontarie, contro il parere dell’aiuto di Foster.
La luce di quel sole
pallido lo infastidì.
Jesse lo sorresse un
minimo, sino al primo taxi disponibile, stazionato davanti alla clinica.
Salirono.
Paul si morse le labbra
– “Prima vada al Lax, poi al molo quindici, grazie”
“Ma”
“Taci brutto imbecille”
– disse lieve, l’unico erede della dinastia Nelson, sorridendo, mentre lo
guardava.
Pinkman abbassò i
propri cieli, incantevoli, da bruciare l’anima.
Quella di Rovia era un
abisso di colori e luci.
Specchiarvisi, per
Jesse, era stato facile, dal primo istante.
Era
stato così bello.
“Soldi ne hai?”
“Sì Paul … Ma cosa
faccio, quando sono là?”
“Qualcosa ti
inventerai: ne sono sicuro.”
Passarono davanti ad un
cartellone pubblicitario, l’ennesimo, prima dell’uscita per l’aeroporto.
Spiccava tra tutto il
resto, che sembrava come spento.
Un arcobaleno ed una
scritta cangiante.
Make
love your go.