lunedì 21 novembre 2016

NAKAMA - CAPITOLO N. 83

Capitolo n. 83 – nakama



Le parole di Norman, gli stavano rimbombando nella testa, come colpi di pistola.
Come quelli, di cui aveva sentito parlare al telegiornale, prima di uscire, per recarsi al distretto, alla ricerca dell’ormai ex convivente.

Reedus, lo aveva portato in un angolo, di quegli uffici affollati, dove tutti lo avevano riconosciuto e salutato.


“Ho incontrato JD Morgan … Lo conoscevo, lo avevo arrestato anni fa … Mi ha detto tutto, ma la cosa peggiore è che mi ha aggredito e io … io …”

Le rivelazioni successive, furono quanto di peggio Rovia potesse immaginare.
Paul era stato scoperto, nel suo “adulterio”, ai danni di Norman, però questi, così quanto JD, lo aveva tradito biecamente.

Era assurdo: il figlio del giudice Nelson, non voleva credergli, ma Reedus non gli avrebbe mai mentito, su di una cosa del genere.

L’ex tenente si addossò ogni colpa.
Rovia era stato usato da Morgan, ma gettato via da entrambi.

Una follia.

Ora Paul camminava lento, sotto il temporale, senza una meta precisa.
Le mani in tasca, fradicio sino alle ossa esili, il cappuccio della felpa alzato, su quelle chiome lunghe e gocciolanti.
Finché non arrivò ad un parcheggio.
Pieno di lampioni accesi e macchine, in continuo movimento.

Aveva freddo.
Aveva solo voglia di farsi e di morire.

Subito.





Quando Reedus rispose a quell’ID sconosciuto, avrebbe dovuto riattaccare, usando il buon senso, ma non ci riuscì.

La voce roca e calda di JD lo trafisse.

“Dove sei?”   

“Da nessuna parte” – replicò spento.

“Scusa se ti ho rubato il numero, mentre facevi la doccia Norman …”

Silenzio.
E pioggia.
E lacrime.

“Mi chiedi scusa per delle stronzate, mentre hai rovinato la mia vita!” – ruggì, appoggiato a quella balaustra, a strapiombo sul mare.

JD prese un respiro e diede un’altra boccata, alla sigaretta consumata a metà, seduto sulla moquette di una nuova camera, in un motel più decentrato del precedente.

“Torna da me” – disse pacato, ma aveva il cuore in fiamme; eppure, JD, non voleva fare scenate o litigare.

“Tu … Tu sei pazzo” – singhiozzò Norman, crollando sull’asfalto.

“Ti mando l’indirizzo, ok? Poi … Poi fai come vuoi, ciao” – e riattaccò, senza più fiato.




Mads scrutò l’espressione infantile di Will, mentre questi, in auto con lui, al Mac Drive, stava assaporando il secondo hamburger vegano, con i baffi di maionese al riso, che lo rendevano oltre modo tenero, alla sua vista.

“Io avrei preferito portarti al Villa’s” – esordì affettuoso il chirurgo.

Graham fece spallucce – “Meglio qui … Ti piace?”

“Cosa? Questo mix di pollo, ribes e rucola?” – Mikkelsen aveva preferito un’insalata.

“Sempre ammesso che lo sia … Pollo, intendo!” – Will rise sonoro, imprigionando la cannuccia della sua cola, tra le labbra adorabili, pensò Mads.

“Prima hai messo a posto quel White, sei stato … brillante” – anche il più anziano rise di gusto.

“Veramente avrei dovuto farmi i fatti miei … Vero?”

“Comunque Jesse è il classico ragazzo, che smuove l’animo compassionevole, insito in ognuno di noi”

“Ergo ti piace, Mads?” – lo provocò, con innocenza.

“Volevo porti lo stesso quesito sai? E sono davvero geloso, Will, sappilo” – gli soffiò nel collo, posandovi un bacio rovente.

Graham deglutì a vuoto – “Andiamo a casa?” – sussurrò, rapito da mille sensazioni.

Mikkelsen riavviò la sua Bentley, riguadagnando il boulevard.

Senza fretta.





Robert non gli avrebbe mai mentito.
Geffen lo sapeva.

“Ci ho fatto sesso … E’ accaduto o almeno credo … Non so più niente Glam” – confessò avvilito.

“Ora dovresti riposare, poi parleremo, se vuoi”

“No, dobbiamo farlo ora, prima che torni Jude! A proposito, è con Hopper, vero?”

“Certo: mi hanno appena avvisato che non ci sono accuse formali. E’ una faccenda complessa Rob”

“Ok … Ti ho detto la verità, su Jesse, mentre per White non so niente … Ricordo che Jesse mi disse di dipendere da lui per la droga, gli serviva a studiare, a rendere meglio, capisci?”

Downey continuava a ripetere il nome di quel ragazzino cresciuto troppo in fretta, infastidendo non poco l’ex coniuge, che lo seguiva attento, da almeno quindici minuti.

“Robert ascoltami: da quanto mi ha riferito Marc, è proprio il contrario; White e Pinkman sono due fabbricanti di metanfetamine o almeno lo erano ad Albuquerque, dove ne sono successe di tutti i colori … L’FBI ha dato loro l’immunità totale, in cambio di alcuni pesci grossi; il resto, forse, te lo sei immaginato tesoro, in un’allucinazione collettiva, temo …”

“Che intendi dire?”

“Intendo dire, che anche Jude ed il sottoscritto ne sono stati coinvolti”

“Ma tu non rammenti nulla, giusto? Al contrario di me e poi, ti ripeto, Lula mi ha detto che è stato Pepe a salvarmi”

“Sì e non smetterò mai di ringraziarlo” – Glam sorrise, rassicurante.

“Ho … Ho visto soldino da adulto, sai? Quando gli ho chiesto spiegazioni”

“E’ un buon segno, vuole dire che vivrai, Rob … A me era capitato quando avevo il cancro, ecco”

“Siamo stati fortunati … Ad avere dei figli tanto speciali, vero Glam?”

“Certo … Ora prova a dormire, io mi occuperò di tutto, non pensarci più”

“Impossibile … Comunque, se non è chiederti troppo, vorrei che avessi un occhio di riguardo anche per Jesse: non è una cattiva persona”

Geffen annuì, anche se avrebbe preferito rifiutarsi, ma con Downey non ce l’avrebbe mai fatta.





“Ti serve qualcosa Walt? Hai fame?”

Pinkman glielo chiese con apprensione, mordendosi le unghie, lo sguardo sfuggente e nervoso.

White conosceva bene quei sintomi o meglio avvisaglie.

“Anche volendo non potrei toccare cibo … Tu hai mangiato, in compenso?” – e gli sorrise, invitandolo con gli occhi lucidi a tornargli vicino.

“No, come avrei potuto?” – e si rifugiò nuovamente sul suo cuore.

“Hai paura piccolo?”

Ne avevano passate tante, ma raramente White si dimostrò, in passato così premuroso.

“Hanno sconvolto il nostro mondo, questi stronzi” – disse piano, sospirando inerme.

“Hai preso un po’ di soldi?” – bissò ancora più impercettibile il più anziano.

Pinkman lo fissò – “No, devo andarci?”

“La chiave ce l’hai, del resto ero tranquillo, almeno per questo” – e sorrise.

“Centomila bastano?”

“Per spostarci e per un nuovo rifugio, direi di sì Jesse, ma non più a Los Angeles, mi dispiace”

“A me no, sai? Odio questa città …” – e gli tornò in mente il viso di Paul, anche se per Pinkman, era ancora un volto senza storia.




“Papi lo trovo un po’ ridicolo”

Lula lo disse, procedendo al centro di Vas, Peter, Ivan e un quarto bodyguard, appena assunto da Meliti.

“E questo no?” – ribatté Glam sornione, aiutandosi con un deambulatore metallico, con tanto di flebo annessa ed attaccata al suo braccio.

Risero.

Erano giunti a destinazione.
La camera di Walter.

Soldino bussò, facendo poi un cenno a Pinkman, che li aveva autorizzati ad entrare, con uno strano presentimento.

“Ciao Jesse, ti ricordi di me, sono il moccioso!” – lo salutò Lula, divertito.

Le guardie di Geffen gli fecero largo e, appena entrato, l’avvocato si tolse l’ago e gettò da parte quel girello, che non gli serviva a nulla.

“Adesso noi chiariremo un paio di cose, ok Mr. White?”

“Walt deve recuperare le forze, è stato appena operato, chi vi credete di essere?” – lo aggredì immediato lo studente.

Glam sorrise – “Robert ti ha descritto come un pulcino, ma io so chi sei, anzi, so ogni cosa di entrambi, ok?” – replicò duro.

White tossì, alzando lo schienale – “Io non voglio che lei parli con Jesse, non deve neppure guardarlo: so di cosa è capace, per difendere chi ama, Geffen, ma le consiglio di non mettermi alla prova, su un fronte simile, ok?” – ringhiò severo l’ex docente.

Soldino si era accomodato sul davanzale, ma ne scese, dando poi una carezza al braccio sinistro di Pinkman – “Tu meriti tanto amore, sai?” – disse sereno il bambino – “Sicuro di averne avuto abbastanza, da lui?”

Jesse si morse le labbra, guardò Walter, poi di nuovo Lula.

“No … No, c’è stato un tempo, in cui l’uomo che amo, mi ha usato e oppresso, svalutato e persino manipolato … Io, però, non ho mai smesso di amarlo e credere in Walt: per quanto incredibile, non penso di essere stato il solo, a vivere un’esperienza così” – e guardò Glam, senza più astio.

Il legale si ossigenò, poi si sfilò la casacca sterile, strappandosi la benda, macchiata del suo sangue, ormai rappresosi da ore.

L’attenzione di White e Pinkman si concentrò su quel semplice segno, minuscolo, innocuo.

Completamente guarito.

“Questo vi basti a riflettere, su chi avete fatto arrabbiare: vieni amore, andiamocene.”

“Ma papà … Ok” – e con una corsetta, soldino uscì, riavvolto da quel quartetto di giganti buoni.

Geffen aveva ormai dato le spalle a Jesse, che avanzò di un paio di passi, verso di lui, per poi fermarsi, ad un’occhiata storta, ma esaustiva di White.

“Quello che dicono è dunque vero?” – Pinkman non riuscì a tacere.

Glam tornò a puntarlo – “Vero?” – ed assottigliò le palpebre, sui turchesi vividi – “E’ unicamente una minima parte, te lo assicuro” – e se ne andò.





La figura di Norman, sembrò frammentarsi e ricomporsi, nell’ondeggiare di un tendaggio, fatto di sfere in plastica, alla vista di JD, alzatosi dal letto, per andarsi a prendere qualcosa in frigo.

“C’è del gelato, ne vuoi?” – chiese Morgan, recuperando un barattolo dal congelatore.

Reedus non rispose, steso supino, nudo, le braccia lungo il corpo ancora vibrante e bagnato.
Eppure lo stava osservando, nel suo incedere e poi ritornare, su quelle lenzuola disfatte, con dei boxer aderenti, indossati quasi con pudore dal galeotto.

JD si allungò, girato sul fianco destro, il gomito piegato ad appoggio, per il suo busto massiccio e villoso – “Non ti va?” – insistette, contemplando l’avvenenza sensuale di Norman.

Era bellissimo.

Morgan ne assaggiò una prima cucchiaiata, ma poi ne fece colare alcune gocce sul petto del suo incredibile amante, che rabbrividì.

Di piacere puro.
Almeno quanto JD, che non esitò a leccare e succhiare, i capezzoli ambrati e turgidi di Norman, rapito da mille sensazioni e stimoli, a lasciarsi andare, senza più limiti.

Come quella situazione.

Tra loro, che, all’apparenza, non avevano niente in comune.

Eppure Reedus, si sentì al sicuro, anche quando JD lo sovrastò e penetrò per un secondo amplesso.

“Non riesco a smettere” – ansimò, avvolgendolo, per colpirlo più virilmente, aderendo a lui, come se la sua vita dipendesse da ciò.

E JD non ci avrebbe più rinunciato.

Mai più.










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