Capitolo n. 86 – nakama
I soldi di Rovia
servirono a comprare documenti nuovi e affittare un alloggio ai margini di
Malibu, in una zona pulita, tranquilla, dove un conoscente di Reedus, gli
ricambiò un vecchio favore, dando da lavorare a JD, come promesso dal non più
ex poliziotto.
L’incubo degli
spacciatori di Los Angeles era tornato in azione: Chris lo aveva esclamato,
dandogli ampie pacche sulle spalle, appena saputa la notizia, circondato dai
colleghi al distretto, dove Norman aveva ripreso servizio, ma in una sezione
ben diversa.
Persone scomparse.
All’apparenza un
settore meno pericoloso, ma in stretta collaborazione, purtroppo, con la omicidi
di Hemsworth: in pochi venivano ritrovati, in effetti.
Avvenne tutto molto in
fretta, a pochi giorni dal Natale.
Di sicuro quella non
sarebbe diventata una notizia da prima pagina, ma neppure il rientro a casa di
Robert, tenuto nel massimo riserbo.
Più evidente la
ricomparsa in aula di Geffen, prodigo in chiacchiere, con chi gli chiedeva cosa
fosse realmente accaduto: un colpo di striscio, questa la versione ufficiale,
in cui pochi riuscirono a credere pienamente.
Le dimissioni di Paul,
invece, vennero notate unicamente da Jesse, impegnato ad assistere Walt, ma
caparbio nel procurarsi un appartamento, lui sì in Malibu, con tanto di bagno
attrezzato per disabili e palestra per la riabilitazione.
Il giovane aveva
persino affrontato Glam, recandosi al suo studio, per chiarire la posizione di
White.
“Io
non voglio grane, non siamo stati noi a cercarvi, ma quell’ex tossico, che si è
messo in testa cose assurde!”
Il
suo esordio fu infelice, ma Geffen non si scompose.
“E’
il padre di uno dei miei figli, Robert, quello che tu definisci un ex tossico e
hai ragione, lui per primo lo ammetterebbe, ma è anche l’uomo che ti ha
raccomandato al sottoscritto, perché non ti venisse torto un capello o creato
qualsivoglia problema, ok?” – replicò aspro.
“Ma
io non ho bisogno del magnifico Glam Geffen, per essere al sicuro in questa
città di pazzi, ok? Io ho Walt e mi basta!”
Glam
rise – “Dio solo sa chi vi ha veramente messo sul nostro cammino, ma ogni cosa
ha un senso, ogni persona, non potete essere capitati a caso nei miei giorni,
voglio continuare a ripetermelo, per resistere e non prenderti a calci nel
sedere! E ora sparisci, maledizione!”
Pinkman sbuffò,
imboccando la direzione indicatagli da Paul: lo stava accompagnando alla casa
sull’oceano.
“Fico qui!” – esordì
Jesse, un po’ infantile, mentre scendevano dall’utilitaria presa a noleggio.
Quanto prima si sarebbe
comprato un pick up, simile a quello andato distrutto nel box del cottage,
fatto esplodere da Walt, per non rivelare il loro laboratorio segreto, ma anche
quella carretta andava benissimo.
“Era di mio nonno … Un
lascito, ne ho avuti parecchi, sono morti quasi tutti” – disse incolore Rovia,
cercando le chiavi nel solito vaso di ortensie, ormai secche.
“Almeno in questo sei
fortunato, no?” – disse lo studente di Chimica, guardandosi intorno, le mani in
tasca.
Entrarono.
In mezzo al living, un
cartone ancora sigillato e degli addobbi, accatastati vicino a quell’enorme
scatola.
“Avevo ordinato
l’albero online, è rimasto lì” – sembrò giustificarsi Paul, passando oltre
quella mercanzia, che a Jesse piacque da subito.
“Potremmo farlo, che ne
dici?”
Il suo entusiasmo suonò
commovente.
Doveva averne avuti
pochi, lui, di Natali felici.
“Perché no … La vuoi
una cioccolata? Si fa così, vero?”
Rovia l’avrebbe fatto,
così, con Norman, divertendosi, come bambini.
Era
tutto talmente assurdo.
Vedere il suv di
Reedus, imboccare il viale d’ingresso, gli mandò lo stomaco in fiamme.
Aveva con sé Beatrice e
Sandra, Bea e Baby, che ne discesero, correndo verso la villetta, che ben
conoscevano.
Norman provò a
fermarle, ma fu inutile.
In un attimo, le bimbe,
erano già appese al collo di Paul, inginocchiato al centro della sala, con
Jesse rimasto in piedi, ma spezzato, per quella sequenza crudelmente toccante.
“Ti abbiamo portato un
regalo zio Paul!”
Lo dissero quasi
all’unisono, le “sue principesse”, porgendo al figlio del giudice Nelson, dei
disegni.
Reedus avanzò circospetto,
in pieno imbarazzo.
Era anche passato a
prendere la sua roba, questi gli accordi scambiati via sms, ma Rovia non
credeva così presto.
“Sono stupendi …” –
mormorò appena, rialzandosi – “Va vado a prendervi una cosa anch’io, ok?” –
balbettò, per poi fuggire, paonazzo in volto.
E continuava a non
guardare Norman.
Sparì quindi al piano
di sopra, mentre le piccole si interrogavano mentalmente sulla presenza di
Jesse, ma per poco.
“Tu sei il nuovo
fidanzato di zio Paul?” – esordì Baby, la più rammaricata per la separazione
del loro papà, da Rovia.
A loro era stato
spiegato che non andavano più d’accordo, ma le motivazioni di Reedus erano
suonate così deboli, la sera prima, quando aveva portato i regali a casa della
ex moglie.
“No … No, sono un
amico!” – Pinkman rise nervoso, grattandosi la nuca.
“Hai una fidanzata,
allora?” – lo incalzò Bea.
“No anzi … Ho un
compagno, si chiama Walt …”
“Ed è più bello di zio
Paul?!” – lo tormentò Sandra, curiosa e vivace.
“Ok, ora finitela” –
sbottò Norman, avvicinandosi.
“Perché non vai a
vedere come sta?” – lo trafisse Jesse, severo nello sguardo.
“Ma tu chi sei, da dove
sbuchi?” – chiese rigido lo sbirro.
Eppure lo aveva già
visto, pensò, poi gli sovvenne: davanti all’ufficio di Chris e, anche allora,
Pinkman stava parlando con Rovia.
Reedus
alla fine salì al piano di sopra.
Farrell si fece strada
tra confezioni di cattering e palloncini.
La vigilia sarebbe
stata festeggiata alla End House, da tutto il loro clan, pronto a riunirsi, per
l’ennesima volta, superando tensioni e ostacoli, come da “tradizione”.
Jared lo stava seguendo
a breve distanza, dando le ultime, svogliate, disposizioni a Miss. Wong e al
resto dei collaboratori domestici.
C’era fermento, ma non
autentica gioia nell’aria.
I segni del sisma erano
ancora visibili, nonostante una ricostruzione a tempo di record, della loro
residenza faraonica.
Ugualmente, l’irlandese,
aveva tentato un restauro improvvisato al loro legame, con quell’idea bislacca
di un figlio, concepito da Jared, tramite utero in affitto di Stella.
Lui era in buona fede,
ma le tempistiche risultarono sbagliate, anche se puntuali, in piena collisione
con uno dei consueti periodi di crisi esistenziale di Leto.
“Cole aspetta”
“Che c’è?” – borbottò nervoso,
entrando in camera.
“Senti” – il cantante
gli afferrò le braccia muscolose, con un sorriso di circostanza – “… non volevo
deluderti con il mio mancato entusiasmo, cioè potremmo riparlarne con l’anno
nuovo, che ne pensi?”
Jared voleva
riguadagnare terreno, senza saperne neppure il vero motivo.
“Temo di no” – replicò Farrell,
senza astio – “… queste cose o le si vive in un certo modo da subito o se no,
meglio lasciare perdere, nessun problema, ok?”
“Se lo dici tu …” – si arrese,
incolore, facendo un passo indietro, mentre l’altro iniziava a cambiarsi.
“Dovresti dare un’occhiata
ai cuccioli e vedere se sono arrivati i vestiti per Isy, Rebecca e Violet … C’è
stato un problema nelle consegne dal negozio in centro, hanno sbagliato le
taglie e dovevano sostituirli”
“Ok, sì certo” – Leto inspirò,
uscendo nel corridoio, per poi appoggiarsi alla balaustra, che dava sull’ingresso,
dove il via vai di gente, era aumentato.
C’erano anche Pam e
Carmela, sbucate chissà da dove, intente a infiocchettare degli alberelli a
palla, già colmi di luci e festoni dorati.
In un vocio festoso,
apparve anche Geffen, spingendo un carrello, colmo di doni.
Lui era Babbo Natale,
chi poteva negarlo?
Le iridi del leader dei
Mars si riempirono di lacrime.
Jared corse via, come
se si potesse sfuggire, a qualcosa che nessuno era mai riuscito a spiegargli.
E
a risolvere, una volta per tutte.
Paul mise velocemente
due biglietti da cento dollari, in due buste distinte, una per Bea e una per
Baby.
Non era riuscito a fare
di meglio.
Aveva visto molti
giocattoli in un negozio del centro, prima di incontrare JD Morgan, ma non c’era
stato il tempo di acquistarli.
Tutto era andato a
rotoli.
Per colpa di quel
bastardo.
Chissà che fine aveva
fatto, si chiese mortificato il ragazzo, sigillando quelle missive tinta
azzurro cielo.
Come quello stampato
negli occhi di Reedus, puntati, ora, su di lui.
Tra le sue scapole
magre.
Rovia si girò di
scatto.
“Cosa vuoi?” – disse con
il fiato frammentato di angoscia e solitudine.
“Ciao Paul … No,
niente, ero preoccupato” – e inghiottì amaro, lo sguardo di nuovo basso.
Colpevole.
“Per chi, per me?” –
Rovia rise mesto, tirando su dal naso, appoggiato al cassettone, giusto per non
cadere.
Per
non morire.
“Come stai?” – domandò l’ex,
le gote vermiglie.
“Uno schifo, non lo
vedi?” – sbottò senza muoversi.
“Beatrice e Sandra
hanno insistito per venirti a trovare, avrei voluto avvisarti e”
“Nessun problema,
questa è anche casa loro … La era, almeno”
“Sì … Dovremmo andare
adesso, scusa”
“Hai fatto pace con
Sara?” – chiese diretto, tanto valeva farsi male del tutto e finirla lì.
“No!”
La veemenza di quella
risposta, poteva lasciare qualche speranza in Paul, ma non riuscì a crederci.
“Sarebbe stato giusto,
dopo tutto questo casino … Non hai paura per loro?”
“Paura …?”
“JD è pericoloso, forse
non se ne è andato, forse è ancora qui, da qualche parte, nascosto come un topo
di fogna, quale è”
“Lui non sarà più un
problema, ha preso il largo” – e si sentì come il peggiore dei traditori,
soggiogato dai sentimenti per Morgan, che andavano oltre ogni buon senso e
decenza, come lo avrebbe giudicato chiunque.
“Buon per lui …” – e gli
passò oltre, per tornare da Bea e Baby, trepidanti, nell’attenderlo.
“Ecco questi sono per
voi, comprate ciò che più vi piace, ok?”
“Ok …” – disse flebile
Sandra, gli occhi immensi, celesti come quelli del padre, che, al pari di un
fantasma, prese le loro giacche, pronto a rivestirle, per tagliare la corda.
“Grazie zio Paul” –
aggiunse triste anche Bea, tornando ad appendersi a lui.
“Fate le brave ok? E
venite qui quando volete, il mio numero lo avete sempre, vero?”
Entrambe annuirono,
mostrando i cellulari coloratissimi, anch’essi dono di Rovia.
Ormai non c’era più
aria in quell’ambiente, saturo di addii non detti.
Jesse avrebbe voluto
sbattere fuori Reedus, che non avrebbe posto alcuna resistenza.
Finalmente uscirono da
quella stanza e, forse, dalla vita di Paul, rimasto sul tappeto, aggrovigliato
su sé stesso, senza più parole.
Pinkman sigillò la
blindata e, se avesse potuto, avrebbe chiuso fuori, anche tutto il dolore, che
stava leggendo negli opali di Rovia, increspati e afflitti.
Stava singhiozzando – “Mi
ha portato via tutto, sai? Anche questo, anche le bimbe”
Jesse corse ad
abbracciarlo.
“Non devi pensarci più
e vai avanti Paul … Sapessi quante volte ho pensato che non valeva più la pena
vivere e mi sono fatto del male da solo, ma tu non devi finire così, ok? OK?” –
e, guardandosi, lo scrollò un minimo, anche se lo stava come cullando, un
secondo prima.
Paul fece un cenno,
tremante.
Poi gli diede un bacio.
Casto, di gratitudine.
JD posò la scatola di
ciambelle avanzate, sopra alla mensola del microonde, guardandosi in giro,
sentendosi ancora estraneo a quel nuovo rifugio, dove Norman aveva lasciato uno
zaino militare mezzo sfatto sul letto e un trolley nell’ingresso senza mobili.
L’arredo era scarno, ma
sufficiente: avrebbero comprato dell’altro, se necessario.
Se ne avessero avuto il
tempo; non potevano ancora saperlo.
Al fast food di Jacob,
era andato tutto bene: JD aveva lavorato sodo, taciturno, sorridendo appena
alla simpatia della figlia del titolare, con la quale aveva subito legato.
Lei era incasinata, ma
talentuosa ai fornelli.
I tatuaggi e i capelli
sparati verso il soffitto, con punte viola, su una tinta arancio sole, la
rendevano piuttosto stravagante, ma neppure poi tanto.
Di tipi così, nella
città degli angeli, se ne incontravano ad ogni angolo, come a New York.
Morgan sognava di
andarci e di portare Norman a fare una bella vacanza.
Certo non glielo
avrebbe rivelato tanto facilmente, scorbutico com’era.
O come appariva.
“Ehi” – Reedus rientrò,
buttando le chiavi in un posacenere vuoto, la voce roca.
“Giornata storta?”
“Più o meno …” – e si
ossigenò, prendendo una birra dal frigo – “Ne vuoi?”
“No, grazie … Guai a
casa?”
Norman si accomodò sul
divano, indeciso se accendere la tv e dare subito un taglio a quella
conversazione scomoda.
“Quale casa? Questa è
casa mia” – replicò secco, fissando il 40 pollici, ancora spento.
“So che passavi dalla
tua ex, di solito in queste occasioni le donne rompono” – e gli si affiancò.
“Hai l’aria stanca” –
mormorò dolce – “… Jacob ti ha fatto sgobbare?”
“No, mi sono trovato
bene, nessuno che rompe” – e abbozzò un sorriso.
“Meglio così” – Reedus si
rialzò, lasciando la Ceres mezza vuota sul tavolino del soggiorno – “Vado a
farmi una doccia”
JD si lisciò i capelli
all’indietro, ripassandosi poi i palmi caldi sul viso ispido e tirato – “Mangi
qualcosa con me?”
“Sì, quello che c’è …
Tanto non mi va niente” – e chiuse la porta del bagno, schiantandosi contro il
legno, appena sparito alla vista del suo interlocutore.
Le palpebre gli
pesavano, come quel macigno sul cuore, che stentava a sciogliersi.
Era
tutto così complicato.
Così
impossibile.