One shot – Thinking Jared Leto
“Dublino, 29 maggio
2018
Guardo la notte, caduta
su questa città, che doveva essere la nostra città, Colin.
Conto le stelle, in
quel gioco, che facevamo ogni volta, quando non riuscivamo a dormire, troppo
eccitati per l’emozione di esserci trovati e poi scoperti.
Fa tutto male, in
queste ore, durante le quali non riesco a pensare nitidamente, a ciò che voglio
dal domani.
Respiro, solo per non
morire.”
Colin James Farrell prende anche lui un respiro, scrutando
quello scritto, di pugno, da parte di uno degli artisti più controversi e geniali,
che la musica e il cinema, avrebbero consegnato ai posteri, con tanti misteri,
sul suo privato, specialmente.
Poi guarda le rose, bianche, 42, come gli anni, che compirà
alla prossima alba, del 31 di maggio.
Ne assapora la bellezza, divorandole di occhiate sempre più
intense, mentre procede nella lettura.
Se ne stordisce dell’aroma prezioso.
“Devono essere profumate,
mi raccomando Emma! In questo mondo del cazzo, nemmeno i fiori sanno più di
qualche cosa!” –
aveva preteso, Jared Joseph Leto, dalla sua ormai ex assistente, unica custode,
però, di quel segreto.
E lei, fedele, era salita su di un jet privato, in tutta fretta,
perché Farrell ricevesse quell’ambasciata, alla vigilia del suo b-day.
“Ho sempre ceduto alla potenza
della tua tenerezza, a quella forza, che riesci a tirare fuori nei momenti
peggiori.
Forse adesso, ne stai
attraversando di nuovi, ma l’incubo è sempre lo stesso, Colin.
Andrò a caso, da qui in
poi, tra i miei pensieri.
Crederai che io sia
arrabbiato, non ho risposto alla tua unica telefonata, di sabato scorso.
Perché hai scelto quel
giorno?
Perché non hai
insistito?
Avrei potuto richiamarti,
certo, per avere le risposte, ma ho avuto paura.
Nessuna rabbia.
Ogni scelta, mi avrebbe
fatto sbagliare.
Sono stanco degli sbagli,
delle attese.
So ogni cosa di te.
Ci sono persone, a cui
le domande le faccio, perché ho un disperato bisogno di sapere.
Di averti, in qualche
modo, nella mia vita, anche con notizie da amici comuni.
Buffo.
Per noi, che ci
apparteniamo.
Sei la mia ombra e io
la tua.
Chi o cosa, potrebbe
separarci veramente?
Avrei voluto darti un
figlio, nell’unico modo, che conoscevo, impegnandomi per adottarlo, a qualsiasi
costo.
Avrei diviso il mio
tempo, in tanti spazi e, la maggiore parte, sarebbe stata dedicata a lui.
O lei …
E a te, Colin.
Continuo a scrivere il
tuo nome, premendo sulla C, perdendomi sul resto.
E quella N, che scivola
via, mi toglie il fiato, come una promessa, che poi non sarà mantenuta.
Né da te, né da me.
Respiro.
Ci riesco ancora.”
Farrell si siede, accarezza i bordi del foglio, asciuga svelto
una lacrima, che sta dilatando il blu cobalto dell’inchiostro, sull’ultima
parola.
A Los Feliz c’è quiete e poi, in quell’enorme casa, c’è solo
lui.
Ha mandato via tutti, anche se si erano prodigati per
assisterlo.
Kelly, la sua compagna da due anni, aveva scelto di non
restare, di seguire il tour degli U2, per i quali lavora da troppo tempo, per
rinunciare alla sua indipendenza.
Colin non deve averla mai convinta, per davvero, sul loro futuro
insieme.
Evidentemente.
“Faccio molte cose e,
anche quando sto fermo, mi sembra di essere sempre in fuga, sai?
Ho una nuova ragazza,
si chiama Valery, l’hai vista, vero?
Ti piace?
La vedo pochissimo.
Per fortuna.
Che cosa dico,
accidenti?!”
L’irlandese ride.
“Ti ho strappato una
risata, vero? … Non esageriamo, un
sorriso, almeno?
Ti voglio bene Colin.
Ti amo.
E’ in gamba, è sveglia,
non mi dà corda, mi conosce, sa come sono.
Mi lascia in pace.
Forse ne soffre, di
certi limiti.
Forse non abbiamo
neppure una storia.”
Farrell inarca un sopracciglio.
Adora quell’indole infantile di Leto.
“Mi manchi.
Sto bene, mentre ti
scrivo.
Anche nei testi delle
mie canzoni.
Sei qui con me.
Sei su questo dannato
foglio.
Che è solo un foglio.
E quando la smetterò di
piangere, forse riuscirò a scriverti ancora qualche cosa di sensato.”
L’irlandese prende il telefono, poi lo posa e gira il dannato
foglio.
“Ehi, sono quello di
prima, ciao Colin …
Domani è il compleanno
di Val, le ho mandato delle peonie rosa.
Senza biglietto.
Non ti sto chiedendo
scusa per lei, sia chiaro.
Il mondo va avanti.
…
Il mondo non esiste.
Ok ora respiro, lo sto
facendo.
Giuro.
Ho la testa come un
macigno, forse se la appoggio sulla scrivania, per un minuto, forse mi passa.
Non ci sei, a
riscaldarmi, tenendomi a te, io di spalle, tu incollato a questo idiota.
Tu non ci sei, Colin.
Ora devo andare.
Bono e i suoi ragazzi,
mi hanno mandato un regalo.
Qui c’è il biglietto,
poi ci sono birre, snack, sono stati carini, augurandomi il meglio per il
concerto di domani.
E se questo dono, l’avesse
preparato tu sai chi?
Le vite di altri, ci
tengono legati, connessi, ancora vivi, in qualche modo.
Ti sposerai?
Io no.
No, davvero.”
L’attore beve dell’acqua, imponendosi di non toccare
alcolici; d'altronde, le pastiglie che prende, dopo il rehab preventivo, lo farebbero
vomitare entro trenta secondi.
Già, trenta secondi, quando deve dare una scadenza quasi immediata,
lo dice puntuale.
L’abitudine.
Forse.
Il marchio, a fuoco, impresso in tanti ricordi.
A volte belli, a volte no.
“E se ci vedessimo?
Prima dell’estate, prima
delle vacanze con Henry …
Tocca a te, giusto?
Hai diviso il tempo?
Hai dato gli spazi sufficienti
almeno a lui?
E a James?
Il tuo domani è lì.
Lo vedo.
Lo so.
Temo esistano addii,
che non si possono dire.
E lieto fine,
impossibili, da raccontare.
Ciao Colin.
Ciao amore.
JJL.”
Silenzio.
Interrotto dal bip dei tasti del cellulare di Farrell.
Forse, questa volta, lui,
risponderà.
The End.