Capitolo n. 95 – nakama
Graham sfogliò velocemente
la cartella di Philip, un’ultima volta, prima di entrare nella sala
preparazione, per i chirurghi, come lui e Mikkelsen: privata ed esclusiva.
Mads era già arrivato,
puntuale, come al solito: gli dava le spalle, appoggiato ai lavabi, la testa
china.
Will sorrise, posando
velocemente quei fogli su di un ripiano viola, pronto ad affiancarlo, non solo
nella sterilizzazione, ma, specialmente, in quell’operazione, non affatto
semplice.
C’era in gioco la vita
di un ragazzino.
C’era molto da perdere
e ogni rischio preso, poteva trascinarli anche verso un fallimento amaro e
inatteso.
“Tesoro sei già qui,
molto assorto vedo” – Graham scherzò, premendo il distributore di sapone
liquido.
Il compagno prese un lungo
respiro, tossendo poi, senza guardarlo; non ancora.
“Ehi Mads, ti senti
bene?”
Adesso era Will,
pienamente concentrato su di lui e allarmato da quel silenzio, rimescolato ad
un fetore di alcol.
“Mads …?” – la sua
voce, esterrefatta, divenne un soffio.
Quindi un’esclamazione
– “Mads hai bevuto?!”
Com’era
possibile?
“Co
cosa?”
Graham
lo afferrò per le spalle, iroso e disperato.
“Che
ti è preso, come hai potuto ridurti così?”
Lo
stupore stava prevaricando la rabbia ed era solo un preludio, alla delusione,
che ne sarebbe seguita.
“Quel
… quel Philip” – una risatina biascicata, accompagnò la sua spiegazione
assurda, ma non del tutto – “… quel Philip, mi ha ricordato un periodo, mi ha …
Mi ha risvegliato delle emozioni, che credevo di avere rimosso, capisci?”
“Come
puoi farmi questo?” – la frase risuonò supplichevole, in quell’ambiente a tinta
verde tenue.
“Scusami
Will” – e cominciò a piangere, appoggiando la fronte madida, sulla spalla
sinistra dell’altro, che finì per abbracciarlo, senza convinzione.
“Calmati
… Vieni, proviamo con una doccia fredda, ok?”
La
sua iniziativa, non ebbe molto successo.
“Mi
scoppia il cervello” – singhiozzò tremante il luminare, accasciandosi, mentre
si massaggiava, inutilmente, la nuca.
“Dio
alzati! Non puoi mollarmi, Philip non può aspettare! Il suo tempo è quasi
scaduto!”
Le
rimostranze di Graham, caddero nel vuoto, anche se Mads si rimise in piedi,
seppure incerto e confuso.
“Opererai
tu: ne sei capace Will: io ti assisterò come posso”
“E
cosa diremo alla tua equipe, miseria schifosa!?”
“L’ultimo
giorno dell’anno e noi siamo qui, a passeggiare tra le rovine della End House”
– Jared rise, un passo avanti a Geffen, entrambi le mani in tasca, gli occhi di
Glam piantati tra le scapole dell’ex, troppo magro, per i suoi gusti.
Erano
al terzo piano dell’ala nord, ancora in ristrutturazione, dopo il sisma.
“Colin
è al lavoro?” – chiese il legale, per nulla interessato alle sorti
dell’irlandese.
“Sì,
il film è quasi finito, penso riceverà dei premi, la trama è davvero
interessante” – Leto prese fiato, voltandosi, per fissarlo, colpevole e
bellissimo, per essere ancora così importante ai sensi del suo interlocutore,
rapito dai suoi zaffiri cangianti.
Da
ogni sua espressione, dal suo corpo esile, che gli parlava di continuo.
“Allora
sarà un anno migliore, il prossimo, Jay” – un sorriso tirato, senza trovare le
parole giuste, per lui, che ne aveva sempre una vincente, in chiusura delle sue
arringhe.
Ma non con Jared.
“Con
Denny hai chiarito?” – chiese brusco l’artista, quasi a volersi togliere un
peso dallo stomaco e dal cuore.
“Chiarito
cosa?”
“La
vostra situazione, è” – deglutì amaro – “è chiaro, no?”
“Qui
di chiaro c’è solo un fatto, sai Jared?”
“E
cioè?”
Geffen
sorrise, stanco – “No, non importa, discorsi appassiti, il vento o chissà cosa,
se li è portati via”
“Le
nostre vite altrove, ecco cosa se li
è portati via, Glam, non è difficile capirlo: forse tu dovresti provarci sul
serio con Denny, è una brava persona, le sue gemelle ti adorano”
“Una
brava persona? Quando sposò Tomo non credo tu ne avessi così tanta stima, per
quanto Shannon ne soffrì o sbaglio?” – rise senza convinzione; voleva
andarsene, troncare il discorso, dimenticare Jared, una volta per tutte, come
buon proposito di Capodanno, che mai si sarebbe avverato.
“Acqua
passata”
“Già,
un po’ per tutti Jay” – e si voltò, per andarsene davvero.
“Dove
vai, scusa?” – domandò quasi con apprensione il cantante, avanzando deciso,
verso quella schiena ampia e solida, come nulla dentro di loro.
E fuori.
Un
crepitio e il pavimento si aprì, sotto ai piedi di Leto, come una voragine,
inattesa quanto pericolosa.
Geffen
stava tornando a guardarlo, perché non sarebbe stato giusto, lasciarlo lì in
quel modo, dopo quel bacio in ospedale, dopo il tutto e il niente, che si era
incancrenito, tra loro, ormai.
E
fu un attimo.
Di
quelli, in cui Glam sapeva diventare efficace e risolutivo: con un gesto rapido
e di forza, riuscì ad afferrare Jared per il polso destro, rischiando di finire
di sotto insieme a lui.
“Jay!!”
“Non
lasciarmi, non”
“Non
ti lascio maledizione!” – ringhiò in affanno, tirandolo su, accogliendolo poi
sul petto, insieme al suo stupore, alla sua disperazione.
“Glam
…”
“Io
non ti lascerò mai” – mormorò sconvolto, tenendolo a sé.
“Glam
spostiamoci, ti cerco dell’acqua, sei paonazzo”
“Basterà
questa” – lo interruppe, sedendosi sul pavimento e prendendo una pasticca dalla
tasca dei pantaloni – “… me le ha prescritte Scott, in caso di stress
eccessivi”
Leto
rise nervoso, inginocchiandosi, ancora impaurito – “E io lo sono, per te, da
sempre, vero?” – provò persino a scherzare.
Geffen
gli passò il pollice destro sulla fronte e poi sugli zigomi – “… Tu sei la mia
benedetta dannazione Jay … Ma la vita sarebbe così noiosa, senza di te, accidenti
…”
Graham
si sistemò la mascherina, senza guardarlo.
“Il
professor Mikkelsen coadiuverà ogni nostro passaggio” – disse Will, puntando lo
staff di Mads, muto e nascosto dalla stessa barriera verdognola, in stoffa
sterile – “ma non interverrà direttamente, perché oggi non si sente bene: ci
sono obiezioni?”
Nessuno
ne sollevò, anche se l’imbarazzo, tra i presenti, era palpabile.
“Ok,
andiamo” – e si diressero in sala operatoria, dove Philip era già stato sedato
e preparato.
La
porzione di pelle, lasciata scoperta e illuminata da lampade apposite, fremeva
leggermente ad ogni pulsazione del giovane.
“Buio”
– sembrò sentenziare la voce roca di Mikkelsen e ogni sguardo si orientò sul
punto, dove Graham avrebbe fatto la prima incisione.
Mads
disse il meno possibile, sino al momento cruciale, in cui la sua tecnica,
attraverso Will, avrebbe risolto.
Se
non fosse stato per un imprevedibile intoppo.
“La
malformazione è al contrario, come abbiamo fatto a non rendercene conto,
dannazione!”
Su
quella frase di Graham, tutti si bloccarono, attoniti e in attesa di nuove
disposizioni.
Per
risolvere, per uscirne vivi.
Mikkelsen
inspirò greve, strizzando le palpebre, mentre Will stava esitando: gli strappò
quindi il bisturi elettronico e, con un gesto deciso, affondò in quella cavità palpitante
e ostica, prossima ad una deleteria fibrillazione.
“Aspirare,
qui e qui, sudore, cazzo svegliatevi!” – ruggì, destando i colleghi da quell’impasse
cruciale, mentre la storica collaboratrice Jasmine, gli tamponò, svelta, la
fronte gocciolante.
La
pressione e il battito di Philip, si stabilizzarono, dopo un picco malevolo.
Morgan jr, era salvo.
La
sua telefonata allarmò a tale punto Scott, da farlo scapicollare in moto, in
mezzo al traffico delle feste, sino alla villa sulla spiaggia di Paul, senza
perdere un minuto di tempo.
Tempo.
Rovia
non ne aveva avuto mai abbastanza, per riprendersi la propria vita, né accanto
a Reedus e tanto meno con Pinkman.
Norman,
che teneva le mani di JD Morgan, seduto davanti a lui, nella saletta di attesa
della Foster, in un mutismo reciproco, causa la troppa ansia, per le sorti di
Phil.
Jesse,
a sua volta, si dedicava amorevole, alle esigenze di White, ancora costretto
sulla sedia a rotelle, ma per poco, Hiddleston glielo aveva assicurato.
Walter
avrebbe ripreso a camminare antro la metà di gennaio, Tom ne era certo, grazie
alla caparbietà di un paziente, che non aspettava altro che potere tallonare
quella creatura fatta di sbagli e carezze, di nome Jesse Pinkman.
Tanto
amore, del quale Rovia non sapeva neppure i dettagli, come nel caso di Norman e
JD, innamorati e perduti, in un rapporto simbiotico e, per certi versi,
inspiegabile.
Lui, Paul, non se lo sarebbe potuto
spiegare mai, in effetti.
“Quante
ne hai prese, cazzo!?” – esclamò il medico, in crisi di ossigeno, per la corsa
e la tensione.
“Lasciami
in pace” – il rantolo di Rovia, gli scivolò dalle labbra, insieme ad un po’ di
saliva, per la nausea, dovuta all’ingestione di alcuni barbiturici.
Erano
di sua madre, Paul li conservava, per uno sbafo di rossetto sull’etichetta, che
lei aveva lasciato, trafficando con il tubetto, in plastica avorio, a scritte
azzurro cupo.
Come il domani, che Rovia avrebbe
preferito non vedere affatto.
“Devo
farti vomitare, avanti andiamo! Dov’è il bagno?”
Nessuno
risposta.
Un
paio di schiaffi e Paul riprese i sensi, giusto il tempo di svuotarsi,
inginocchiato davanti alla tazza del cesso, come quando era un tossico, come
quando divideva la cella con JD Morgan e si sniffava anche la colla, rubata al
reparto falegnameria dal suo coinquilino, violento e pretenzioso, di avere il
suo corpo e la sua anima buia.
Sarebbe
stato così semplice farsi ammazzare da lui o da qualche balordo del braccio K:
perché non lo aveva fatto, ora si domandava mentalmente, riverso contro le maioliche,
a scacchi bianchi e neri, quanto i suoi giorni.
Graham
portò buone notizie.
Norman
e JD si abbracciarono forte.
“Possiamo
vederlo?” – chiese il tenente, senza preoccuparsi di quanto potesse pensare
Will, su di loro.
Ufficialmente,
Morgan era stato condotto lì dal poliziotto, per seguire l’esito
dell’intervento, prima di tornare in carcere, essendosi costituito.
La
versione di Reedus, adesso, faceva acqua da tutte le parti, ma l’amore assoluto
di Mads, era distratto da un’angoscia, che salvò i due, ma unicamente da lui.
Geffen,
a pochi passi da loro, era livido, per quanto appena scoperto.
Era
una conferma, del resto; i suoi sospetti, come quelli di Vas, risultarono più
che fondati, ormai.
“Voi
state insieme … Io non ci posso credere!” – esordì furioso, oltrepassando Will.
“Glam
… Ascolta, ti posso spiegare” – Norman provò a difendersi, tanto ormai non
poteva più sfuggirgli.
“Spiegare
cosa?!? Sapete perché sono tornato?! Non solo per avere notizie di Philip, ma,
soprattutto, perché Scott sta portando qui Paul, mezzo morto!”
“Ma
cosa stai dicendo …?” – si intromise JD, stranito e, all’apparenza, turbato.
“Ha
tentato il suicidio, con delle pasticche, se non fosse stato per Scott sarebbe
spacciato!”
“Glam
calmati” – Graham si frappose tra loro.
“Ma
come faccio a calmarmi! Ti rendi conto di quello che sta accadendo, Will?!?
Della carognata, che entrambi, hanno fatto subire a Paul?! E lui neppure lo sa,
ci scommetto, vero Reedus?!” – e lo prese per il bavero della maglia,
sbattendolo contro al muro.
Morgan
non rimase fermo a guardare e, se non fosse stato per Vas, si sarebbero fatti
tutti molto male.
Mikkelsen
controllò l’orologio, appeso in cucina, per l’ennesima volta, poi ebbe un
sobbalzo, appena percepì i passi di Graham nel salone.
Si
precipitò da lui, ma Will era già salito al piano di sopra, dirigendosi nella
loro stanza.
Mads
esitò oltre la porta, quindi decise di affrontarlo, vedendo l’altro aprire un trolley
sulla cassapanca centrale, piena zeppa di cibo per cani.
I
randagi di Graham, dormivano tranquilli in mansarda: ormai anche il più anziano,
si era abituato alle loro allegre scorribande per casa.
Una
casa enorme, che, a breve, il più giovane avrebbe lasciato, evidentemente.
“Do
dove stai andando amore?” – il nervosismo, che lo stava corrodendo, lo fece
persino balbettare.
“Non
farmi domande idiote!” – sbottò acre, con una durezza inaudita.
“Will”
Graham
si bloccò, puntandolo severo.
“Hai
rovinato tutto, Mads, tutto!”
“Lo
so, ma tu non puoi liquidarmi in questa maniera, senza darmi un minimo di
sostegno, di comprensione, come farei io!”
“E
come ho fatto io, da quando stiamo insieme, ma vedo che te ne sei dimenticato!”
Si
fronteggiarono, esausti, come soldati della stessa guerra, ma su barricate
opposte.
E così distanti, ora.
“Will,
forse hai ...” – il suo accenno di frase, fu smorzato da una carezza dell’altro
– “Scusami Mads, non volevo alzare la voce”
“Will”
“Ma
non riesco a rimanere, non ci riesco … Perdonami.”
“Will …”