Capitolo n. 93 – nakama
Philip sgranò i propri
fanali su ogni dettaglio, alla residenza di Mikkelsen.
Accanto a lui, su di un
divano dalla foggia moderna, Lukas lo stava avvolgendo, mentre Reedus scrutava
la porta, che li separava dal luminare, concentrato sulla cartella sanitaria
del giovane e le sue analisi più recenti.
Leggermente in ritardo,
arrivò anche Geffen, con un marsupio sul petto, all’interno del quale Syria
stava sgambettando, divertita nel tirargli la barba ben curata.
“Scusate, sono passato
a prendere la mia principessa, non era previsto” – esordì solare, salutandoli.
“Dio che bella” – lo
accolse Phil, entusiasta nel vedere quella meraviglia.
“Le piaci, vuoi tenerla
un po’?” – e gliela passò, senza esitazioni.
“Spero di non farla
cadere … Guarda Lukas, le piaci anche tu” – disse rapito dai sorrisi della
bimba.
“E lui sarebbe …” – mormorò
educato Glam, indicando il biondo, ugualmente preso dai vagiti simpatici di
Syria.
“E’ il mio fidanzato” –
rispose limpido Philip, cullando la piccola.
“Piacere di conoscerti,
è tanto che siete qui, Norman?”
“No, dieci minuti direi
…” – lo sbirro tossì, impacciato nel rivolgersi a lui, perché Geffen nei panni
di genitore, era davvero carismatico.
“Siete in gamba, con
Syria, come vedi Philip non devi avere paura, anzi, non dovrai più averne,
d’ora in poi, ok?” – affermò con dolcezza il legale, guardandolo.
Phil annuì emozionato –
“Ok … La ringrazio per quello che sta facendo per me”
“Anch’io le sono grato”
– si inserì Lukas, speranzoso di avere finalmente una relazione senza più
incubi e limiti, con il suo adorato Morgan jr.
Glam si allontanò, per
rispondere ad una telefonata e Philip si ossigenò, scrutando poi Norman.
“Papà doveva lavorare,
quindi?” – chiese a bassa voce.
“Sì, è per il programma
di riabilitazione, non può sgarrare” – ribatté pronto il tenente.
“Ok … Ci sei tu e per
me è come se fosse la stessa cosa” – asserì il ragazzino, dalle iridi tinta
cioccolato, nella sua innocenza, così disarmante.
“Ti ringrazio, ma
lascia parlare me, ok?” – e gli sorrise, teso come una corda di violino.
Nominare JD, in
presenza di Geffen, che lo credeva ormai all’estero come minimo, era davvero
pericoloso.
Phil fece un cenno di
assenso, dando un ultimo buffetto a Syria: il padre era tornato da loro, mentre
Will si palesava, per farli accedere allo studio di Mads.
“Prego, entrate … Ci
sono sedie per tutti, piacere, sono il dottor Graham”
“Salve” - Phil si sentì
subito a proprio agio.
Mikkelsen era ancora
fisso su quei fogli.
Will gli passò una
tazza di tè – “Lui ragiona meglio se beve questa brodaglia” – scherzò, a tono
lieve.
Mads lo guardò,
dandogli una carezza sul fianco – “Grazie amore … Dunque, benvenuti nella
nostra casa: come ti senti Philip?” – chiese quasi premuroso.
“Emozionato …
Impaurito”
“Non per spaventarti
oltre, ma ne hai piena ragione: il tuo cuore dev’essere aiutato in fretta,
quindi ti ricoveriamo oggi stesso, d’accordo?”
“Sì … Sono così grave?”
– e i suoi occhi divennero lucidi.
“Le prossime crisi,
potrebbero debilitarti a tale punto, da non consentirti più un’esistenza
normale: quindi non perdiamo altro tempo, domani all’alba ti operiamo, Will e
io, alla Foster, dove ti ho già prenotato una stanza” – replicò con
risolutezza.
Il mutismo generale,
venne spezzato da Geffen – “Vi accompagno, per il necessario chiamerò Jared,
lui ha dei figli della tua età Phil e armadi, che esplodono di vestiti,
pigiami”
I suoi modi erano
bonari, ma Reedus scattò come una molla – “Non ce n’è bisogno, porterò io ciò
che serve, ok?”
“Ok tenente, non si
agiti, anzi, non ci davamo del tu?” – bissò Glam, senza scomporsi, capendo il
suo stato d’animo.
Mads aveva già il
cappotto addosso, così Graham – “Dobbiamo muoverci, Philip deve fare le analisi
e rimanere a digiuno: quando sarà tutto finito, potrai mangiarti una bella
pizza, ok?” – e sorrise, rassicurandolo.
Stava accadendo tutto
in fretta e Reedus aveva un unico pensiero: avvertire Morgan.
Al più presto.
White si era
addormentato sulla poltrona, dotata di meccanismo elettrico, che Jesse gli
aveva comprato apposta, per farlo alzare senza fatica, passando sulla sedia a
rotelle o al deambulatore, a seconda di come si sentisse durante le lunghe
giornate, in parte senza di lui intorno.
L’ex professore di
svegliò di soprassalto, avvertendo dei rumori familiari, provenire dalla
cucina.
Sorrise, pensando a
Pinkman, che stava tentando di preparare una cena decente.
Jesse spuntò con un
vassoio, colmo di tramezzini – “Scusa, ti ho svegliato?”
“Ciao tesoro, ma no,
che dici, vieni qui” – e gli tese le mani, carpendo quelle di Jesse, ripulitosi
dall’odore di Paul, grazie ad una lunga doccia, durante la quale, al solo
pensiero di Rovia, si era accarezzato, come un adolescente alla prima cotta.
“Ho preparato questi,
forse tu volevi pollo fritto e patatine Walt” – e abbozzò un sorriso adorabile.
White carpì il suo volto,
da bambino mai cresciuto, baciandone ogni dettaglio, dagli zigomi, alle
palpebre, che il giovane chiuse, sorridendo.
“Walt …”
“Mi sei mancato da
impazzire”
“Lo vedo” – e si
staccò, posandogli sulle gambe un tovagliolo – “mangi qui o”
“Qui” –
rimbrottò amaro – “e io vedo che a te non importa un cazzo!”
Pinkman si alzò,
senza lasciare trapelare alcun senso di colpa – “Siamo alle solite, perdi la
pazienza per un nulla, ma ormai ci sono abituato, sai?” – disse con calma.
White lo puntò,
inarcando il sopracciglio destro – “Ti sto facendo passare delle feste orrende,
posso capire che tu stia in giro a divertirti, vorrei solo sapere con chi, ok?”
Jesse lo fissò,
prendendo un respiro – “Ho visto un po’ di gente, colleghi di università, erano
in giro, come me, in un centro commerciale, abbiamo bevuto una birra, non ci
trovo nulla di male”
“Al Dark Blue?”
“No, ti ho
appena detto che eravamo al centro commerciale”
“E vogliono
ancora rifornirsi da noi?”
Pinkman allargò
le braccia, sbuffando – “Ho anche degli amici normali, che ti credi?! Persone
che non mi cercano, solo per comprare della merda da me, DA NOI!” – e si alterò
parecchio.
In realtà Walter
aveva ragione: lo studente non era mai riuscito a instaurare rapporti duraturi
con nessuno e quasi mai, senza secondi fini impliciti e legati alla loro
attività illegale.
“Perdonami Jesse
… E’ la mia insicurezza, dovuta a questo incidente maledetto!” – ruggì l’uomo,
le iridi tremolanti di frustrazione e lacrime.
Pinkman si
precipitò a stringerlo, baciandolo convinto e profondo.
Lo amava come
nessuno aveva mai fatto, nonostante tutto.
Nonostante Paul
Rovia.
Jared apparve
come una visione ai presenti.
C’era una luce
particolare, tra la sala di attesa e il corridoio del reparto di Chirurgia,
alla Foster, un’aura, che sembrò accompagnarlo sino a destinazione.
Geffen andò ad
abbracciarlo – “Dai a me” – e si fece passare uno zainetto pieno di chissà
cosa, si domandò mentalmente Reedus, abbandonato da Lukas, sempre incollato a
Philip, ormai in stanza da un’ora.
“Ciao Glam, che
succede?” – chiese il cantante, bellissimo nel suo look sbarazzino e
incredibile, per la sua età over cinquanta.
“Hai presente
l’archivista dell’Ucla?”
“Philip?”
Lo conoscevano
davvero tutti, pensò Norman, avvicinandosi.
“Infatti: ha un
serio problema cardiaco, però Mads e Will lo risolveranno; Norman si è rivolto
a me, chiedendo se potevo dargli un sostegno, sai, per via delle assicurazioni”
“Stai pagando
tutto tu?” – sussurrò Leto, a debita distanza dal tenente.
“Volevo metterla
in un altro modo” – bisbigliò Geffen simpatico.
“Sei
incredibile” – Jared sorrise, appendendosi al suo collo taurino – “ti voglio
così bene” – aggiunse, rapito da un crepitio di pulsazioni, che si irradiarono
anche dai suoi zaffiri.
Glam li stava
contemplando, senza lasciarlo andare, cinturando il suo busto esile – “Anch’io”
– e avrebbe voluto aggiungere quella parola, che Jared gli ispirava dal primo
istante.
Amore.
Un misto tra un
grugnito ed un “buongiorno”, di Reedus, riportò alla realtà entrambi.
“Salve, come sta
Philip?” – domandò gentile il leader dei Mars.
“E’ con il suo
ragazzo, stanno morendo di paura, però andrà tutto bene, vero?”
Leto sorrise –
“Siamo una squadra, ce la caveremo, anche questa volta, giusto Glam?” –
sembrava un girotondo, a caccia di speranza.
“Mikkelsen è il
migliore, non falliremo, ve lo prometto.”
Geffen era fatto così: a testa alta, contro ogni
avversità.
Sino alla fine.
Il materasso era
di quelli gonfiabili, a due piazze, il piumino l’avevano comprato al discount,
ad un isolato da lì, le mani di JD, sempre uguali, nell’imprigionare i polsi di
Norman, aperto, sotto di lui, come una finestra, sotto ad un cielo di stelle,
dai contorni incerti, nel crepuscolo fresco e invernale, tutto intorno.
“Scusami …” –
gli ansimò nel collo Morgan, in crisi d’aria e parole, dopo il rientro di
Reedus.
La cronaca di
quella giornata, dalla quale lui era rimasto dolorosamente escluso, era stata
breve, imbarazzata.
“Scusa per cosa?”
– Norman deglutì – “… ogni volta che mi tocchi, che fai così, io mi sento vivo”
Era terribilmente
vero.
Era come vivere
sotto al sole, senza pelle, perché non serviva.
Norman lo
tratteneva, avvinghiato a sé, come due piante differenti, ma la cui
sopravvivenza dipendesse da quel contatto estremo, totale, simbiotico.
“Vorrei che un
giorno, nostro figlio, facesse l’amore così, con il suo Lukas” – rivelò JD,
senza alcuna remora.
“Lo farà … E
poi, quando lo dici, riesco ad amarti ancora di più, sai?” – Reedus ricacciò
indietro un singulto – “… come se ciò, fosse possibile”
Morgan lo fissò,
nel buio infranto da un unico fascio di luce, quello della solita insegna del
market lì sotto, che faceva da sfondo, alla figura magra di Reedus, sollevatosi
sui gomiti, mentre l’altro se ne restava a pancia in giù, di lato, gli
avambracci incrociati sotto al mento, un po’ in tensione, pensieroso.
“Tra una
manciata di ore lo opereranno, io non posso rimanere qui, Norman: se non
dovesse più svegliarsi”
“Non dirlo
neppure per scherzo, cazzo!”
JD si alzò,
rivestendosi senza urgenza apparente – “Io devo andare da Philip: mi ci porti?”
“Certo … Certo
che ti ci porto.”
Jared si
trattenne poco, congedandosi solare, da Phil e Lukas: avevano l’età del suo
Yari, erano semplici e perfetti, nel loro amarsi acerbo e, in quel contesto,
saturo di incertezze.
Geffen si era piazzato
su di un davanzale, un iPad sotto al naso, i turchesi vividi, a guardare chissà
cosa, si domandò Leto, raggiungendolo.
“Ehi, che fai di
bello?”
“Ehi … Tutto a
posto, là dentro?”
“A parte la
fifa, direi di sì” – e rise, prendendo posto vicino a lui.
Una foto di
qualche tempo prima, di Isotta, era ciò che aveva attirato l’attenzione del
legale, mistero svelato.
“La nostra
cucciola …” – mormorò l’artista, coinvolgendo, puntualmente, nella paternità di
Isy, anche Geffen, che perse un battito.
“Uno splendore …
E questo micio, vive ancora alla End House?”
“Sì, certo, mi
pare si chiami Claire, abbiamo una discreta colonia felina”
“Colin ha
ragione” – Geffen cambiò discorso, inatteso.
“Su cosa?”
“Sul fatto che
dovresti avere altri figli”
Leto arrossì.
Ci riusciva
ancora, dopo così tanto tempo.
“Ci pensi mai,
ad Haiti?” – anche lui virò bruscamente, puntando di nuovo su Isotta e non
solo.
Glam si morse il
labbro inferiore, aggrottando la fronte spaziosa – “Ogni giorno: almeno un
minuto, giuro” – e sorrise amorevole.
“Non ce n’è
bisogno … di giurare, intendo” – Jared abbassò gli occhi, divenuti più liquidi,
in quel riverbero azzurrognolo.
Le luci
principali erano state spente, lasciando il posto ad un’illuminazione più
soffusa.
“Guardami Jay”
Leto lo fece,
con un lieve scatto del volto senza rughe.
“Tu sei felice,
Glam?”
“Vivo ogni
attimo, facendomi la stessa domanda: non ho mai risposte definitive, non ho mai
un distacco vero e proprio, sono ancorato al passato, lo ammetto”
“Se così non
fosse, ne morirei: l’ho imparato, anno dopo anno, con o senza di te, ma tu c’eri
sempre ed era ciò che contava”
“Conosciamo il
nostro viaggio, seguiamo una meta sempre uguale, ma non per noia, per istinto, perché
è così che deve essere, Jared, a quanto pare: questo è ciò che ho imparato io”
Si baciarono.
Glam Geffen, lo
baciò.
Incontrandosi in
volo.
In quel punto, dove Jared Leto, lo avrebbe sempre
aspettato.
Isy
Mads
Jay