lunedì 11 aprile 2011

ONE SHOT - HOLMES DICA 33

One shot – Holmes… dica 33!



Alla metá di ogni mese, Holmes, l’investigatore principe ed assoluto detentore dello scettro di mente piú illuminata di Inghilterra, si sottoponeva al consueto controllo medico.
L’amico fidato, John Watson, collaboratore di eccellente scaltrezza e forza, era anche il suo dottore personale.
Holmes si faceva persino il bagno in tale occasione, mettendosi due gocce vezzose di colonia, regalo di quella ladra filibustiera, unica al mondo capace di ingannarlo e farsi beffe di lui, in ben due occasioni.
Era un giorno di primavera, luminoso ed inconsueto per la capitale, Holmes era vagamente agitato.
Si inventava tutti i tipi di dolori, per farsi coccolare dalle premure di Watson, ma anche per metterlo alla prova.
I sintomi erano incongruenti con qualsiasi diagnosi, per cui dopo qualche incertezza, Watson sbuffava o ridacchiava, passando oltre.

Le dita tiepide di Watson stavano premendo con estrema delicatezza e precisione sull’addome di Holmes, che era steso sul letto da almeno venti minuti, stranamente in silenzio.
“Qui è tutto a posto Scherlock… la vedo perplesso.”
“No… no, anzi, credevo che quel leggero indolenzimento fosse dovuto ad un’intossicazione…”
“Cosa ha bevuto questa volta?” – domandó con un sopracciglio arcuato, che faceva sempre ridere Holmes.
“Nulla! Nulla… perché mi tratta come un bambino?” – protestó, imbronciandosi in un modo che Watson adorava.
“La conosco bene. Ora si sieda, sentiamo i polmoni.”
Holmes obbedí, era a torso nudo, indossava solo i pantaloni del pigiama e nient’altro.
Diede le spalle a Watson, che inizió ad auscultare.
“È freddo!”
“Zitto! Altrimenti non sento… dannazione quanto è indisciplinato oggi…”
“Ma quel coso è freddo!”
“Quel coso come lo chiama lei Holmes è l’estremitá del mio stetoscopio, essendo in metallo ovviamente non puo’ scottare come un tizzone ardente, ma se proprio insiste lo scalderó con un po’ di fiato!” – e lo fece – “Meglio cosí?!”
“Sí… lei sa essere tanto dolce quando vuole Watson…” – disse con un tono rapito, che fece arrossire l’ex soldato.
“Respiri…”
“Cosí?”
“Sí Holmes… mmm… inspiri…”
“Come?”
“Come cosa?”
“Cioe´… poco, tanto… una via di mezzo?”
“Dio onnipotente, non come un mantice, ma neppure come un topolino!”
“Un topolino?... Bel paragone… l’ha detto per i miei occhi?”
“Co… cosa centrano i suoi occhi Holmes?!”
“Sono scuri come quelli di… lasciamo perdere…” – ed inspiró.
“Perfetto… era ora… ora dica 33…”
“Mmmm perché proprio 33? E se io volessi…”
“Dica 33 o facciamo notte!”
A quel punto si giró di scatto – “Notte?! Ha forse fretta?? Dove deve andare?? Forse da quella…”
“Quella chi?!” – ringhió Watson.
“Ehm… istitutrice… come si chiama…? Cora… Nora… Wanda…”
“Semplicemente Mary!” – sbottó nervoso.
“Ops… non comprendo il suo disappunto… dottore!” – sibiló ad un centimetro dal naso dell’altro.
“Lo comprende eccome! Vediamo se è ancora anemico…” – e gli afferró il viso, abbassando la pelle sopra agli zigomi, per scrutare l’arrossamento sotto ai bulbi oculari.
Nel fare tornare le cose al loro posto, i suoi palmi si soffermarono sulle guance infuocate di Holmes, notandone l’emozione improvvisa – “John…”
“Sí Sherlock… volevo… chiederti scusa…”
“John ascoltami per quello che ho detto prima…”
“Non importa…” – mormoró Watson, custodendo un luccichio nel proprio animo, che tradiva il pianto pronto ad esplodere, insieme a tutta la sua frustrazione.
Holmes sapeva leggerlo come nessuno: lo strinse.
“Che… che sta succedendo John?”
Le labbra di Watson sfiorarono l’incavo tra il collo e la spalla di Holmes, senza rispondere.
Ora stava davvero piangendo.
Fuori inizió a piovere, sembrava che il cielo fosse d’accordo con lui per fare sconvolgere i sensi di Holmes, che, pervaso di tenerezza, gli sollevó il mento, per poi baciarlo intensamente.
Watson lo avvolse con maggior vigore, come per porsi in salvo da sé stesso e da ció che stava per dirgli.
Sherlock si staccó da lui a fatica, giusto per riprendere fiato, il cuore che rimbalzava nel suo petto, come impazzito – “John…John asp… aspetta…lascia che io ti guardi…dimmi che non sto sognando… tu non sai…”
“Sherlock io ho sempre saputo…di te…di me… di noi… ti amo disperatamente…”
Holmes arrise a quell’atteggiamento triste, senza comprenderne la ragione di fondo.
Watson scivoló via da lui – “Sherlock ti devo parlare…è mia intenzione trasferirmi da Mary… vogliamo…” – respiró forte – “Vogliamo sposarci.”
Seguí un silenzio imbarazzante.
Holmes non fece altro che vestirsi.
Andó dietro ad un paravento, non si era mai vergognato davanti a Watson, conoscevano i loro corpi, si erano ritrovati in situazioni assurde, dove gli abiti potevano essere fradici o bruciati, ma in quel preciso istante avrebbe voluto sparire da quella camera, pur di nascondere al suo coinquilino quanto fosse stato colpito da quella rivelazione.
Colpito a morte.
“Sherlock dove stai andando…?” – domandó agitandosi.
Holmes gli accarezzó la fronte, dove posó un bacio caldo e profumato di quell’essenza parigina – “Ti lasco solo con i tuoi pensieri John… e le tue decisioni irrevocabili, a quanto pare, per come hai reagito… Ti amo piú della mia stessa vita, credevo lo avessi imparato in tutto questo tempo…Ho sempre creduto che…” – rise mesto – “Ho sempre creduto che oltre al mio cuore, tu ascoltassi anche ció che ti diceva ogni volta che mi sfioravi… I miei battiti dipendevano dal tuo respiro.”
Uscí senza voltarsi indietro.

La governante era in preda al panico.
Dagli alloggi di Watson arrivavano rumori tipici del suo socio, ma non da lui.
Appena si accorse che Holmes era rientrato, si precipitó giú per le scale per avvisarlo.
Lui salí di corsa, per poi bussare dapprima con cautela, poi con decisione: “John apri accidenti!!!”
Si rese conto di non avere neppure provato a girare la maniglia.
Si diede mentalmente dello stupido.
Era sempre stata aperta.
“Permesso…” – sussurró, togliendosi il cappello ed appoggiandolo con il cappotto sulla poltrona, accanto al caminetto.
Con stupore constató che non c’era niente al proprio posto.
Libri, carte, strumenti, tutto sparpagliato sul pavimento, al centro del quale, sul tappeto persiano, Watson era immobile, con un tomo aperto sulle gambe.
Era assorto, i capelli arruffati, come tutto il resto.
“John… cos’ha fatto?...”
Lui si strofinó le palpebre, tirando sú dal naso.
“Trentatre… è il numero che risulta piú efficace perché la parola contiene sia la T che la R, ottime per rimbombare nella cassa toracica e rilevare eventuali anomalie…” – disse Watson, come immerso in una stravagante catalessi, come la definí sornione Holmes, accomodandosi al suo fianco.
“Tesoro adorato…” – disse Watson, prendendosi la testa tra le mani tremanti.
Holmes gli cinse la schiena, cercando la sua bocca, per un lungo bacio.
“Ora che è troppo tardi per tornare indietro, non posso arrendermi John e permetterti di andare via…”
“Oggi ho avuto paura di perderti…mi hai lasciato solo ed io… credevo di impazzire…”
Holmes non replicó, se non con un sorriso: gli slacció lento la camicia, ed il gilet, sfilando entrambi – “Voglio sentire la tua pelle John…” – ansimó, nel buio, frammentato dalle fiammelle di alcune candele, sparse ovunque.
Watson sentí ogni suo muscolo contrarsi e poi distendersi, mentre si lasciava andare all’abbraccio ed ai baci sconvolgenti di Holmes.
Lo spoglió a propria volta, finché non rimasero nudi ed inermi, davanti al reciproco ardore.
Si rituffarono l’uno nell’altro, contemplandosi, mentre arrivavano sopra alle coperte, rapiti e sconvolti, per l’eccitazione che devastava ogni loro gesto.
“John… John…vorrei appartenerti… per sempre…”
“Non ti negheró mai niente…niente.” – e naufragó tra le sue cosce, succhiando ogni centimetro, fino ad appropriarsi del sesso di Holmes, che gridó, afferrandolo per i capelli e cadenzando da subito ogni affondo del compagno.
Contorcendosi come un acrobata, Sherlock ricambió da subito quell’attenzione, inghiottendo il membro turgido e dolente di John, che si esaltó ulteriormente in quella posizione erotica e sublime.
Le sue dita violarono la fessura di Holmes che sussultó, impreparato, ma dopo un attimo appagato da quel contatto invasivo, ma terribilmente lascivo, come lo schiudersi delle sue gambe.
“Prendimi… Prendimi John, adesso…”
Fu doloroso, straziante, convulso: si aggrappó alle sbarre della testata, provando a rifuggire quella spinta continua, che Watson perpetrava nelle sue membra sanguinanti e tumide.
“Sherlock… amore… vuoi che smetta?” – chiese ansante Watson, la bocca spalancata, in cerca di ossigeno, il busto madido di sudore.
“No… no per caritá… insisti… e sará bellissimo, ne sono certo…”
Voleva sempre avere ragione, ma, in quel frangente, Watson ringrazió mentalmente chiunque potesse favorire la loro unione, per la caparbietá di Holmes nel volere andare sino in fondo ad ogni esperienza, che affrontava insieme a lui.
I colpi si fecero continui e profondi, verso l’assoluto – “Mioddiooo Johnnn!!”
Watson precipitó, avvinghiato a lui, che lo ingabbió in una morsa, senza riuscire a controllare i propri fianchi, che ormai cercavano solo l’estremo piacere.
“John… é… è troppo… é…” – urló sentendosi pervadere da un orgasmo incredibile.
“Ti amo… ti amo Sherlock… eccomi eccomi ahhh!!”
Esplosero contemporaneamente, Holmes sul ventre di Watson e questi dentro di lui, a lungo, perversamente, totalmente.

Un’altra alba, un altro incarico.
Holmes si stiracchió, sbirciando il calendario appeso storto sulla parete di fronte.
“John… ehi John… oggi è il quindici…”
Watson si rannicchió sotto alla sua ala, sfiorando i capezzoli di Watson con la punta del naso e poi piccoli baci – “E allora…?”
“Devi visitarmi!” – brontoló, accoccolandosi sotto al lenzuolo insieme a lui.
“Va bene girati.”
“Girarmi?”
“Iniziamo dai polmoni…”
“Sicuro John?”
“Sí, certo…” – ribatté spalancando le iridi celesti.
Holmes lo assecondó – “Ecco fatto… sono pronto.”
Watson ridacchió – “Io… non ne sono piú tanto sicuro…”
“John!”

THE END


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