martedì 26 aprile 2011

GOLD - Capitolo n. 141

Capitolo n. 141 – gold



Jude si inginocchió, respirando il profumo che avvolgeva la pelle di Robert, rimasto in piedi contro lo stipite della porta del bagno, dove erano rimasti nella vasca per quasi un’ora.
Le attenzioni di Downey si erano fatte sempre piú intense, immerso in un malinconico romanticismo, scaturito nel riguardare vecchie foto nel loro alloggio bomboniera di Londra, dove Jude conservava ogni ricordo di viaggio, dai biglietti dei musei, sui quali il compagno disegnava strani pupazzetti mentre erano in coda per entrare, anche in pose oscene ad acquisti insensati, che finivano nello sgabuzzino ormai intasato.
“Apri la bocca tesoro…” – disse gettando il proprio sguardo in quello di Jude, che sospiró – “Non essere cosí dolce…voglio il mio uomo e subito.”
Rob sorrise, poi si umettó le labbra, spingendo il suo sesso fino in fondo alla gola di Jude, che gemette compiaciuto dal gesto spontaneamente sensuale ed imperativo.
“Va bene…va bene cosí? Cazzo! Scoparti la bocca!” – ansimó afferrandolo per la nuca, mentre i suoi fianchi sembravano impazziti di bramosia.
Lo staccó un attimo prima di venire, ma Jude voleva ingoiare il suo piacere e ci riuscí, quasi ribellandosi ed eccitandolo ancora di piú.
Il letto era poco distante, ci finirono un istante dopo, per continuare un amplesso di pura passione.
Law lo prese mordendogli le spalle ben proporzionate, come tutto il corpo di Robert: passivamente subiva ora la foga del biondo, il quale, madido di sudore stava gocciolando dalla fronte e dal petto, che Downey sentiva premere sulle proprie scapole, mentre il membro dell’altro lo stava spaccando a metá, facendolo peró sentire come un’unica persona insieme a Jude.
Il suono del telefono non li fermó, sicuramente non era importante.

Tomo si stava tormentando le unghie, piegato su di un divanetto nella saletta di attesa dell’ospedale dove erano ricoverati Kevin e Chris.
Quest’ultimo era stato pesantemente sedato; aveva perso molto sangue ed i medici avevano preferito imporre un coma farmacologico.
Kurt gli portó un caffè, sorridendo.
“Hai una sigaretta?...” – gli chiese il croato, ricominciando a respirare con regolaritá.
Era terribilmente in ansia.
Con Brandon aveva parlato dei propri sensi di colpa, ma era un discorso senza senso, visto che lui era rimasto a Los Angeles per il figlio, quindi per un motivo valido e non aveva né messo in pericolo Chris e tanto meno lo aveva abbandonato con quella scelta.
“Sí Tomo vieni, usciamo in terrazza…”
Le luci di New York sembravano cosí estranee al suo stato d’animo: aveva sempre adorato quella cittá, ma al momento la detestava.
“Non doveva succedere… Kurt non è giusto…”
“Hai ragione ed io non so come aiutarti, perché questa tragedia non si potrá cancellare, ma soltanto superare, con il tempo e con l’amore che vi lega… Lo ami, vero?”
“Sí Kurt… ora piú che mai…”
“Allora diglielo, dillo a Chris, ne avrá davvero bisogno.”

Jude andó in cucina a prendere da bere.
Il cellulare di Robert stava lampeggiando, il suo era rimasto spento, ma appena lo attivó, vide cinque chiamate di Colin.
C’era solo un messaggio vocale su quello di Downey.
Appena lo ascoltó, il bicchiere di latte che si era versato, si frantumó sul pavimento.

Farrell raggiunse Geffen al bistrot dall’altra parte della strada.
“Ciao, è da molto che aspetti?”
“No Colin…devo mangiare qualcosa, prima di prendere un’aspirina per questo assurdo mal di testa.” – replicó fissando il menú.
“Sei riuscito a dormire qualche ora?”
“Sí… sulla poltrona accanto a Kevin…”
“Come mai le dimissioni sono state rimandate di un paio di giorni?” – domandó preoccupato.
“Hanno voluto fare un’altra lastra per le costole, gli hanno cambiato terapia e volevano controllare gli effetti collaterali… Domani sera voliamo a Los Angeles, vieni con noi?”
“Sí… va bene, avviso solo le mie sorelle, tornano con i bambini da Dublino… Posso ospitarvi, vengono anche Kurt, Martin e Brandon…”
“Cody me lo ha detto, è fantastico, vuole seguire Kevin per due settimane almeno, ma noi resteremo nel nostro attico, faró venire Lula da Haiti…”
“Splendido Glam…” – sorrise, annullando l’imbarazzo tra loro, ma poi sentí fuori luogo quella parola – “Perdonami… non c’è niente di splendido in questo dramma…”
“Nostro figlio lo è Colin… Grazie per l’invito, ci vedremo in qualche modo, se…”
“Glam mettiamo da parte i nostri problemi, Kevin e Chris hanno la prioritá… Di Bobby cosa mi dici?”
“È giá a casa dai nonni italiani, era una ferita superficiale, per fortuna. Ha una famiglia fantastica a quanto pare… Kevin e Chris non hanno nessuno invece. I genitori sono fantasmi.”
“Che bastardi…”
“Kevin ne parla poco, ma soffre per questo, cosí come Chris, che è stato in sostanza ripudiato. Ho scoperto che il padre è un giudice molto in vista a Boston, la madre una nobile europea, avevano concentrato su di lui molte ambizioni, figlio unico, soffocandolo al punto di farlo scappare in California per questa carriera musicale…”
“Capisco… Ora c’è Tomo, lo adora… Che casino.”
“La nostra specialitá Colin…” – rise mesto, stropicciandosi la faccia ed asciugando due lacrime.
Farrell gli prese il polso sinistro, con delicatezza – “Io… io non sono arrabbiato con te Glam.”
Geffen lo scrutó pensieroso – “Hai di nuovo Jared, a dire il vero non lo hai mai perduto, la tua gioia ti porta a perdonare anche uno come me…”
“Hai avuto la tua possibilitá con Jared… Di farti scegliere intendo.” – ribatté deciso.
“Ho avuto molte incertezze, forse è stato questo il mio sbaglio con lui, visto che cerca conferme da sempre.”
Il suo tono non era sarcastico, ma Colin provó un disagio fastidioso, come se si stessero affrontando su di un campo di battaglia: “Allora devo ringraziarti Glam, per avermelo lasciato. Non ti senti un po’ stronzo a discutere con me, visto quello che è successo a Kevin?”
Geffen si alzó – “Ma io sono uno stronzo, il peggiore di tutti Colin. E non ho dimenticato quello che gli hai fatto. Chi è lo stronzo adesso?” – e se ne andó, lasciando cinquanta dollari alla cameriera, che stava transitando – “Tenga il resto. Arrivederci.”
Compiaciuta per la lauta mancia, provó a chiedere un autografo a Farrell, dopo averlo riconosciuto, ma lui non la stava ascoltando minimamente.
Si precipitó in strada, rincorrendo Glam, che era giá nell’androne dell’edificio, animato da un formicolio di persone in visita e personale del cambio turno.
“Aspettami Cristo!” – e lo afferró per un braccio.
Geffen si voltó, rivelandogli che stava piangendo.
Colin si sentí spezzare qualcosa dentro.
“Io… io non mi perdoneró mai per ció che Jared ha dovuto sopportare e forse… forse se ha superato questo trauma è anche merito tuo Glam…Ti chiedo scusa, per… per prima.”
“Tu non mi devi niente. Io ho fatto il possibile per averlo e non ho avuto alcun rispetto per la vostra unione e la famiglia che avete creato e che amo… Ecco, forse questo è il lato piú tragico e comico… Io vi ho amato davvero, ma ho fatto solo dei danni, in particolare a Kevin, che non lo meritava affatto. E questo è il risultato. La punizione trasversale, che ha colpito lui, arrivando a me come quando gli spararono… Kevin sta pagando troppo la sua devozione ed il suo amore per me.”
Farrell gli strinse le spalle, come a scrollarlo da quel dolore, trascinandolo in un corridoio laterale e deserto.
“Dobbiamo tornare ad essere ció che eravamo Glam, è l’unica soluzione, ritrovandoci… Solo cosí impediremo a persone come quelle che hanno fatto del male a Kevin di sopraffarci!”
Geffen abbassó gli occhi arrossati – “Nulla sará piú come prima… credimi.”
“Tu non vuoi davvero fare un tentativo, neppure minimo?!” – esclamó rabbioso.
“È un passo che faró solo per Kevin, ti basta Colin?”
A quel punto Farrell molló la presa, passandosi le dita frementi tra i capelli – “Sí. Ti ringrazio.”
Ritornó sui propri passi, senza aggiungere altro.



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