mercoledì 30 marzo 2011

GOLD - Capitolo n. 118

Capitolo n. 118 – gold


Jude si ritrovó schiacciato contro lo schienale del divano, avvolto dall’abbraccio e da tutto il resto del corpo di Robert, che si stava svegliando lentamente, la bocca schiusa sulla schiena del compagno, tumida e calda, persa alla prima percezione della luce esterna, in baci traboccanti di emozioni pulite.
Il biondo sorrise, spingendo i propri fianchi contro quelli di Downey – “Prendimi Rob…”
Lui gli strinse i polsi – “Ciao tesoro…devi darmi un minuto…”
“Per cosa?” – protestó amorevole.
“Ti confesso che ieri sera ho saccheggiato il frigo bar della mia camera in hotel… tre lattine di tonica...”
Law ridacchió – “Ecco bravo hai capito Jude…ma non te ne vai, vero?”
“Ti aspetto qui, promesso.”

Geffen posó i doni di Syria nell’armadio della sua camera.
Lei andó a cambiarsi e rinfrescarsi, mentre le gemelle stavano facendo il bagno a Lula.
Quando vide Glam, esplose in sorrisi e faccine – “Papá!!! Vieni anche tu!”
“Ciao ciurma… grazie ragazze, dov’è vostra madre?”
“Bentornato papi, è a fare commissioni, il piccolo è pronto per l’asilo…”
Lui lo avvolse in un grande telo e lo coccoló, sotto lo sguardo attento anche di Syria, ferma nel corridoio.
Erano investiti da un fascio di sole, proveniente dalle finestre ed armonia, traboccante dai loro cuori.
Glam aveva reso un’altra persona felice e quel bambino era innamorato di suo padre, come tutti gli altri del resto.

Downey arieggió l’ambiente, mentre Jude si rannicchiava, per poi tendergli le mani, pronto ad accoglierlo nuovamente sul suo petto.
Si baciarono, guardandosi, era una visione appagante e completa.
Quando tentarono di staccarsi, le loro labbra si ribellarono ad innumerevoli piccoli tormenti, costruiti da denti e lingue frenetiche ed appassionate.
Jude si giró sotto a Robert, inaspettato, ma risoluto, come il suo invito – “Scopami Rob… scopami forte…” – inspiró strizzando le palpebre, come se temesse di dovere subire un qualche prevedibile malessere, sottolineando quel sentore nello stritolare i bordi del bracciolo davanti a lui.
Robert si era invece procurato un gel, per attenuare ogni eventuale disagio, come da sempre si preoccupava, dalle prime volte in cui facevano sesso, conoscendosi profondamente.
Jude doveva avere il massimo del piacere da lui, non avrebbe mai preteso nulla, assecondandolo, peró, in ogni richiesta.
Era una regola, era la sua disciplina dell’amore.
Lo penetró, con cura e metodo, facendolo rabbrividire, era troppo intenso – “Dio… sei… sei bagnato… proprio qui Jude…” e lo toccava ovunque.
Masturbandolo si soffermava sulla sua punta, assaporandone le reazioni, poi scivolava per tutta la sua lunghezza, risaliva e gemeva all’unisono con lui.
I colpi di Robert aumentarono, sollecitati da Jude, impaziente, quasi incontentabile.
Per finirlo ed inondarlo con il proprio orgasmo, Downey lo voltó, riprendendolo con foga: l’inglese aprí le gambe oscenamente, protendendosi ancora, ormai si sentiva spaccato in due, si umettava, poi deglutiva, la testa riversa all’indietro, i palmi sul petto di Robert, come a volerlo respingere all’apparenza, mentre al contrario lo stava stritolando in una morsa sudata e sconvolgente.
Le loro urla liberatorie sembrarono straripare da quell’alloggio, perdendosi nei rumori esterni, l’oceano, il traffico, i suoni di Los Angeles.
Erano stremati e l’unica cosa possibile era baciarsi, per poi ricadere in un sonno leggero e ristoratore.

L’appartamento di Tomo era immerso nell’assoluta tranquillitá di quel primo pomeriggio.
Josh dormiva nel suo lettino, il mofo papi era in terrazza, a leggere un libro, senza comprenderne il senso.
I suoi pensieri erano come imbrigliati al testo della lettera che Chris gli aveva lasciato.
Quando sentí un rumore pensó che fosse lui, ma era Shannon.
Era solo Shannon, stava sorridendo.
Tomo gli corse incontro, lo bació.
Piansero, piegandosi su loro stessi.
Tutto era stato ripristinato.
Forse.

Jared raccolse quel che restava di Colin, facendogli l’amore finché ebbe un briciolo di energia.
Consapevole che fosse soltanto per non sentirlo piú dentro, per non portarlo con sé ad Haiti, sforzandosi di farlo felice, come in effetti appariva, madido di sudore, ansimante per quell’amplesso ripetuto, dove lui non aveva spazi, senza alcuna esigenza da soddisfare, in balia di Jared, che glielo faceva arrivare in gola, per quanto lo sommergeva ed invadeva.
Jared non si era mai sentito cosí inaridito e stanco, oppresso e smanioso di andarsene, proprio per non fare ulteriormente male a Colin, che pensó di non meritare piú, per la prima volta.



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