sabato 12 marzo 2011

GOLD - Capitolo n. 100

Capitolo n. 100 – gold



Jared appoggió la fronte ai capelli di Syria, dandole poi un bacio leggero, incrociando il suo sguardo gentile.
“Guarda, questa è l’ultima ecografia…”
“Cresce la nostra piccola, gli esami sono a posto, vero?”
“Sí, perfetti, a parte la mia anemia, ma prendo le medicine… Sebastian è molto attento alla mia terapia.”
“Bene, hai un bel colorito…”
“Ed ho sempre appetito Jared, diventeró una balena!” – rise, prendendo un’altra fetta di torta.
“Tu con Colin, tutto risolto? Sei… radioso…”
“Diciamo che ci siamo ritrovati, ma non sono riuscito a dirgli di te e della piccola…”
“Tu pensi che lui…” – “No. No Syria, stai tranquilla, Colin sará felice per la nostra bambina…”
A quella seconda volta che pronunciava “nostra”, Syria si emozionó.
Jared era partecipe ed attento, la cosa le fece piacere e glielo disse.
“Non faccio poi molto, sai…? Adesso avete anche un nuovo tesoro per casa…” – accennó, guardandosi in giro.
“Sí, Lula è un fenomeno, ma non li hai ancora visti?”
“No… veramente…” – ma in quel momento bussarono.
“Permesso… ehi Syria sai che… Jared?!”
“Zio Jared!!” – esclamó Lula.
Lui si alzó, sorridendo imbarazzato – “Ciao Glam… ehi peste, eccoti qui…”
“Ma quando sei arrivato?” – domandó lui passandogli il bambino.
“Da poco… ora… ora devo andare alla fondazione, a sistemare la mensa…”
“Ti accompagno, ci vado anch’io.”
“No Glam, sono in bici… ci vediamo… ciao Syria, ciao campione… a presto.” – ed uscí, senza aggiungere altro.

La luce che filtrava dalla finestra della camera di Colin, ferí la retina di Jude, che si coprí con l’avambraccio destro.
Tossí, sentendosi intontito.
La visione di ció che stava intorno era alterata.
Si mise seduto, provando un indolenzimento generale.
“Ma… cosa…?” – strizzó le palpebre, scrollando la testa, poi spalancó le iridi, rendendosi conto di essere nudo, cosí come Colin al suo fianco.
Lui era disteso, a pancia in giú, la mano destra a penzoloni sul bordo, cosí come erano i suoi boxer e gli altri vestiti, che Jude ricordó di avergli tolto la sera precedente, mentre i suoi abiti erano in fondo ai suoi piedi, insieme all’intimo, che infiló subito, come il resto, sentendosi il fiato spezzato.
Colin si sveglió di colpo.
“Jude… dove… dove stai andando?”
“Che cazzo è successo?? Io… io devo andare da Robert… Dio… Colin?!”
“Perché urli, Cristo… cosa ti prende?”
“Co… cosa mi prende??! Cosa abbiamo fatto??!!” – urló, ormai in piedi, dando le spalle alla porta aperta, che sembró inghiottirlo, facendolo ritrovare un istante dopo su di un taxi, che lo stava riportando al suo appartamento.
Tremando cercó le chiavi, ma la blindata era socchiusa, quindi entró, chiamando Robert.
Lui era in piedi, davanti al caminetto, indossando unicamente un paio di pantaloni da smoking, estremamente eleganti.
“Ro… Robert, sei… sei giá a casa?”
“Sí, non mi vedi?” – replicó severo, avvicinandosi a lui, scrutandolo ed allungando le mani sulla sua casacca, aprendola con un gesto secco.
Jude si sentí squarciare il petto, sul quale erano evidenti segni di lividi e morsi, che prima non c’erano.
Robert annuí – “Bene… era naturale che accadesse prima o poi…”
“Amore… io… io ti posso spiegare…”
“Spiegare?... Spiegare cosa Jude?”
“Non lo so… io non ricordo nulla… ti prego dammi…”- non riuscí a finire la frase, che un colpo violento arrivó sul suo mento, seguito da un'altra sberla, che lo stordí.
Il fendente peggiore investí il suo stomaco, facendolo piegare, il sapore del sangue nelle narici – “Rob… co… cosa stai…?” – un altro schiaffo e poi un calcio, una volta che fu a terra, dritto nelle reni.
“ROB!!?” – le sue parole rimbombavano nelle orecchie, assordate da un sibilo insopportabile.
Downey era esperto in arti marziali, fatto che divenne utile sul set di Holmes, ma che in quel frangente riveló quanto potesse fare male al suo avversario.
Jude si ritrovó carponi, oltre la soglia della loro stanza; non sapeva dove fuggire, poteva sentire come un rantolo, salire dal cuore di Robert, che lo afferró per la nuca, costringendolo in ginocchio, a fissare oltre lui – “Sei tu che mi costringi a fare questo Jude.”
A sua memoria, non lo aveva mai toccato, nemmeno nel corso di discussioni animate, cosí rare da essere state dimenticate.
Jude singhiozzava, distinguendo a mala pena il letto, il tappeto – “Ti… ti prego… Rob…”
“Te lo meriti!!”
Nella sua testa continuava a ripetersi che non stava accadendo sul serio, ma Robert gli afferró anche il mento – “Guarda chi c’è, Jude…”
Sentí le lacrime bruciare sui graffi, apertisi sugli zigomi: scorse a fatica tre sagome, probabilmente uomini, assolutamente neri, informi, che in compenso ridevano, solo il contorno degli occhi era delineato ed i loro denti, aguzzi.
“NOOO!!!”

Jared fece finta di lavorare, non si sentiva in forma.
Accatastava sedie, mentre un altro volontario passava il mocio sul pavimento.
“Senti, io torno a casa...”
“Vai pure Jared, grazie per l’aiuto.”
Diversi assistenti stavano percorrendo il corridoio, dove si infiló, per raggiungere il piazzale antistante il centro Geffen.
Tra loro anche Glam, che stava distribuendo una circolare, per il nuovo piano di sicurezza.
Quando si videro, avrebbero voluto entrambi essere altrove.
“Jared, sei qui… senti possiamo parlare un attimo?”
Si bloccarono, proprio al centro di quella corsia, animata dalle voci dei bambini e degli adulti in transito, occupati nelle loro abituali attivitá scolastiche e di assistenza.
Era un vocio colorato, ma distante, quasi al rallentatore, come se non li riguardasse.
“Non mi sento bene… un’altra volta Glam…”
I loro pensieri dissonavano assolutamente da quelle frasi pressoché di circostanza.

§ Vorrei abbracciarti Jared, so che ti manco, almeno quanto tu manchi a me…§
“Permettimi di accompagnarti allora…”

§ Perché uccidi tutte le mie sicurezze… o erano tanto deboli, un’illusione, io… io amo Colin… e amo te… io non riesco a smettere…Glam aiutami, salva entrambi da questa insulsa follia… §
“Credi sia una buona idea?”

§ Mi fa male anche il solo guardarti… Jared…§
Glam respiró forte, sfiorandogli il viso a quel punto.
“Quel…quel giorno, quando sei venuto da me, per dirmi che avevi scelto Colin e poi abbiamo fatto l’amore, io commisi uno sbaglio madornale sai…? Io avrei dovuto trattenerti e farti capire quanto potesse essere bello stare insieme, offrendoti il meglio, proteggendoti, regalandoti tutto me stesso, creando una nostra famiglia, con dei figli, i nostri figli, come adesso sta avvenendo con Kevin.”
“Glam…?”
“Ho avuto paura. Una paura fottuta. Di Colin o di come eri complicato, mentre invece eri cosí semplice, legato a me in un modo unico. Tu non lo hai mai amato come ami me, vero Jared?”
A quella domanda lui indietreggió, per poi fuggire fuori, nel bel mezzo di un temporale.

“Jude!!! JUDE!!! Accidenti svegliati!!”
Colin lo scosse per le braccia inermi, come tutto il resto, finché non riprese conoscenza da quel delirio.
“Buddy...”
“Stavi sognando, non riuscivo a svegliarti Jude… mi hai spaventato…”
“Io… io sono terrorizzato… ho avuto un incubo…De… devo alzarmi…”
“Sí, vieni c’è del caffè… sei ancora vestito…” – rise piano, riprendendo colore, ma Jude era un cencio.
All’odore di quella brodaglia, ebbe un conato e si diresse verso il bagno antistante, vomitando anche l’anima.
Ci vollero venti minuti per calmarlo, farlo cambiare, dopo una doccia e convincerlo che non c’era motivo di angosciarsi per Robert – “Guarda, gli ho telefonato, per avvisarlo che eri qui… ho visto delle chiamate sul tuo cellulare, non la smetteva di vibrare nella tua giacca, io non volevo curiosare…”
Jude sorrise – “Puoi fare ció che vuoi, so che sei in buona fede Colin…”
“Ho solo… mentito su di un dettaglio, per non infastidirlo, cioè non gli ho detto che eri con me…” – nel sussurrarlo, Colin sgranó gli occhi in quel modo che faceva impazzire anche Jude.
“Sono a pezzi irish buddy...”
“Vieni qui…” – lo portó su di un piccolo divano, accogliendolo sul suo petto, cullandolo quasi.
“Jude… se hai dei problemi, sai che di me puoi fidarti… non ti ho mai visto cosí…”
Seguí un lungo silenzio; Colin si convinse che era meglio non insistere, ma poi sentí un lieve fremito provenire dalla testa di Jude, appoggiata sul suo cuore.
“Avevo tredici anni… no, quasi quattordici, mancava poco al mio compleanno, fuori stava nevicando, eravamo bloccati a scuola… quei due, quei due mi tenevano fermo per le braccia…ma… ma c’era anche un altro ragazzo, dell’ultimo anno… erano grandi e si prendevano gioco di me, da mesi…pensavo che volessero pestarmi, ma poi… poi ho sentito il legno del pavimento della palestra contro alla mia schiena…mi… mi strapparono tutto da dosso, si gelava in quel posto, ma i loro fiati erano caldi e fradici di birra… quei sudici fiati, che mi arrivarono ovunque…sentii un dolore terribile, ma dopo fu anche peggio…mi usarono per un tempo… un tempo che non sembrava finire mai…”
“Jude… Dio mio…”
Era immobile, rigido, fissava un punto, senza vedere niente – “Io… io avevo cancellato tutto… io non… Robert non lo sa… lui… lui sa tutto di me…” – si sciolse in un pianto disperato.
“Adesso… adesso lo sa Jude…”
Downey era rimasto in piedi, a pochi passi da loro, lasciando che si liberasse da quel mostro, che si era nascosto da qualche parte nella sua anima meravigliosa, dopo avere fatto un cenno a Colin, che si era accorto di lui, al contrario di Jude, che ora si stava sollevando, tendendogli le braccia – “Rob…Robert…”
“Sono arrivato prima possibile, sentivo che avevi un problema…” – mormoró, mentre Colin gli lasciava il posto, allontanandosi.
Si strinsero forte – “Faró qualsiasi cosa per aiutarti Jude…”
“Faresti… faresti l’amore con me Rob…?”
“Jude…”
“Lo faresti…?” – ribadí, angosciato.
“Certo… sí, certo…” – e mentre lo diceva, inizió con il togliersi la camicia, facendo altrettanto con quella di Jude, che inizió a baciarlo.
Colin tornó verso il proprio letto, provando una sensazione strana nell’immaginare Jude abbandonato sotto al corpo di Robert, che non si sarebbe risparmiato nel possederlo, come lui gli aveva chiesto, quasi fosse una cura necessaria.
Indugió tormentandosi il volto, poi sbuffando aprí un cassetto e prese una pasticca di sonnifero.
Voleva solo ricadere nel buio, senza piú pensare a niente.


“Quaranta… cazzo… quaranta di febbre!”
Jared ebbe un capogiro, che confermava la sua temperatura ad un livello pericoloso.
Il frigo era vuoto e non riusciva ad arrivare all’armadietto dei medicinali.
Vide il suo palmare illuminarsi.
Rispose con un soffio di voce – “Sí… pronto…”
“Jared sono io, posso entrare, ho ancora le chiavi…”
“Glam… Glam sto… sto male…”

Gli fece un’iniezione, poi preparó qualcosa di caldo da mangiare.
Jared era rannicchiato tra due coperte.
“Adesso… adesso te ne andrai via, vero Glam…?”
“No, resto qui. Ora mangia, per favore.”
Deglutiva a fatica.
“Ok, non importa, recuperai domani, ora proviamo a dormire.”
“Sí Glam…ti…ti faccio posto…?”
Geffen sorrise mestamente – “Ok, va bene.”
Evitó di spogliarsi, provando a rilassarsi, ma Jared era terribilmente agitato.
Continuava a chiamare il nome di Colin, poi di Shannon, anche della madre, madido di sudore, contorcendosi come se un demonio lo stesse divorando.
Era ormai l’alba quando si quietó.
“Glam…”
“Sono qui… hai sfebbrato… devi lavarti, sembri un pulcino.” – sorrise, prendendolo in braccio, fino al box, dove lo sostenne, sotto il getto tiepido e ristoratore.
Le goccioline scendevano vivaci, zampillando su quella pelle perfetta, il sembiante con la barba accennata, gli zaffiri che stavano riprendendo vivacitá, come tutto il resto di Jared.
“Va meglio…?”
“Scusami Glam… scusami…”
“Non preoccuparti.”
Lo avvolse in un accappatoio, poi gli fece indossare un pigiama leggero.
“Adesso dormi…”
“Glam… mi terresti la mano…? Ho paura di… di perdermi…”

§ Farei molto di piú per te Jared… farei di tutto per te, amore… ma non posso piú permettere che ció avvenga. Perdonami…§

“D’accordo. Buonanotte Jay…”





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