venerdì 24 maggio 2013

ZEN - CAPITOLO N. 120


Capitolo n. 120  -  zen


“Tenevo sempre in tasca dei sassolini … Li lanciavo nello stagno, tornando a casa la sera, dopo una giornata al porto, dove scaricavo casse di pesce, mi improvvisavo mozzo, insomma facevo quelle cose tipiche, di chi vuole racimolare una cifra e realizzare un sogno”
Clint era assorto, nel narrare quel ricordo lontano.
Geffen sorrise, rovistando tra le sue esche tecnologiche, fosforescenti e colorate.
“Io preferisco quelle … classiche” – l’anziano ridacchiò, aprendosi una birra.
“Ehi vecchio, sono le otto di mattina”
“E allora? Ne avevo voglia dalle sette, ma la tua cucina era invasa da … estranei … e non solo, ho incontrato un barbone, che ciondolava alla ricerca di una toilette”
Glam scoppiò a ridere – “Era Jared … In effetti, la sbornia di Crete l’ha ridotto uno straccio”
“Ma non dovevi restare qui da solo, straniero?”
“Mi perseguitano … che vuoi che ti dica?”
“Che sarai felice, tra … diciamo … venti secondi, Glam” – ed ammiccò, guardando poi oltre le spalle dell’avvocato, seduto accanto a lui sopra gli scogli della caletta.
“Non capisco, cosa …?”

“Papà!!”
La voce di Lula era squillante, così la sua corsetta vivace, giù per la stradina, che portava a quell’angolo di paradiso incontaminato.
“Soldino … Mio Dio, Lula!!”

Si ritrovarono a metà strada, volando l’uno nelle braccia dell’altro.
Geffen lo sollevò, come un aeroplano, facendolo roteare, come accadeva con Vassily, che sbucò all’orizzonte, seguito da Peter e qualche bagaglio.
Salutarono il loro capo e raggiunsero lo sconosciuto, che li stava squadrando un po’ diffidente.

“E voi sareste …?”
“I body guard di Lula” – spiegò diretto Vas.
“Loro sono gli zii sovietici del mio cucciolo, fanno parte della nostra famiglia Clint” – chiarì Geffen, bisbigliandogli poi – “E sono una coppia, non fare gaffe”
“Ok gente … E tu sei l’amore di papà, vero?”
“E tu zio Clint!”
“Accidenti, promosso sul campo, piacere di conoscerti” – e gli diede la mano, che il bimbo strinse, per poi sporgersi, ancora sul petto del padre, per schioccare un bacio sulla guancia raggrinzita di Clint, che arrossì emozionato.
“E papà Kevin, amore?”
“E’ andato alle Hawaii con zio Tim! Ti chiamano tra qualche ora …”
“Perfetto” – Geffen provò sollievo, anche se mescolato ad un velo di malinconia, che non diede a vedere, nonostante per Lula non avesse segreti.


“Voglio morire …”
Jared mugugnò, nascondendosi sotto i cuscini e suscitando l’ilarità di Colin, seduto sul bordo, con un vassoio per la colazione, rimasto intatto.
“Devi mangiare qualcosa tesoro …”
“No, che poi vomito”
“Prova con dello yogurt … Oppure tè con questi biscotti al miele”
“Al … miele?” – e sbirciò infantile, prendendone uno.
“Non fare briciole, Jay”
“Mica penserai che ci dormiremo ancora qui?” – sorrise, ma il suo tono era triste.
“Chi può saperlo …” – sospirò, assaggiando poi una macedonia invitante.


“Forse potevamo accompagnare Lula … Mi manca quella birba …”
“La nostra birba, Tim, è anche tua, non dimenticarlo” – e dopo essersi allacciato la cintura, per l’imminente atterraggio, Kevin gli diede un lungo bacio.
“Grazie … per tutto” – replicò in crisi di ossigeno il giovane, chinando il capo verso la spalla del bassista.
“Abbiamo fatto la cosa giusta, Lula è con il suo papà, per le vacanze, del resto siamo divorziati e l’affido è condiviso: un po’ insieme a Glam ed un po’ insieme a noi” – mormorò con serenità, abbracciando stretto Tim, ormai commosso.

Certo lui avrebbe voluto insistere nell’indagare sull’improvviso cambio di rotta, nei sentimenti dell’ex di Geffen, verso quest’ultimo, tornando all’equilibrio consolidatosi prima dell’aggressione subita da Kevin.
Tim, però, preferì non rovinare quel momento magico, rimandando valutazioni e confronti nei giorni successivi, se ce ne fosse stato bisogno, augurandosi del contrario.


Robert preparò del latte tiepido per Camilla.
Jude la stava pettinando, dopo averla vestita, sotto il patio, dove la tavola era apparecchiata per la colazione da ore.
“Vuoi della frutta, Jude?”
“Sì, grazie … Guarda che ho preparato del caffè”
“Orripilante come sempre” – sogghignò Downey – “… Del resto hai visto mai un Inglese alle prese con una moka …?”
“Cosa stai brontolando?” – Law rise.
“Niente tesoro” – esclamò, gesticolando poi buffo, per fare ridere la figlia.
Jude sospirò, pensando che il marito fosse allegro.

In realtà l’americano aveva dormito poco, tormentato dal pensiero di Geffen.
Era oltremodo dispiaciuto per quanto apparissero arroganti ed egoisti, nella loro presenza lì, invadendo quella privacy che l’avvocato aveva tentato di stabilire, senza riuscirvi.

“Ecco qui … Di Colin e Jared hai notizie?”
“Non pervenuti. E … Glam?”
“Credo sia a pesca, con quel signore, li ho visti andare verso la caletta dopo alba”
“Clint, giusto?”
“Sì Jude … Ad ogni modo, dobbiamo togliere il disturbo, non credi?”
“Preferirei tornare a Lasysos, ce ne stiamo nella nostra bella bicocca, con questa principessa, a cui l’aria di mare fa bene e lo sai …”
“Ok, ok Jude, come vuoi”
“Robert, non incazzarti” – disse piano.
“Non lo sto facendo, pensavo unicamente tu fossi d’accordo a non tormentare Glam, tutto qui!” – sibilò amaro.
“Sai che anch’io gli sono grato …” – replicò smarrito.
“Già … I miei briganti … complici … Nel sopportare questo relitto” – ed una lacrima gli sgorgò spontanea dall’iride sinistro.
“Tesoro …”
Jude lo avvolse, mentre Camilla giocava seduta sul tappeto musicale, che la coppia si era portata in auto, per farla giocare.
“Hai … Hai rispettato il mio amore per Glam, dopo che ci siamo fatti a pezzi, Jude … Non so neppure come tu ci sia riuscito”
“Dopo l’incidente? … E non dovrei definirlo tale, bensì un tentato”
Downey lo baciò, secco e senza dargli alternative.
Camilla rise divertita, approvando le loro effusioni, come al solito.
La presero sulle ginocchia, coccolandola un istante dopo.
Era il collante e l’armonia, tra loro, come non mai.


Lula nuotò per circa un’ora, anche appollaiato su di un salvagente, tinta arcobaleno.
Quindi fece le sue corsette sulla battigia, giocando con Preston, l’husky di Rob e Jude, che la coppia si era portata appresso, onde sedare i capricci di Cami, che non se ne voleva separare mai.

“Ehi fagiolo, vestiti, andiamo, devo preparare il pranzo!” – gli gridò Geffen.
Clint rise, raccogliendo i suoi arnesi – “Ma non hai tutte quelle massaie tra i fornelli? Potrebbero pensarci loro”
“Sèè figurati … Quelli scroccano altro che …”
“Li hai abituati male … o bene, a seconda dei punti di vista, Glam” – lo riprese, bonario.
Glam divenne serio, di colpo.
“Poche settimane fa, due balordi hanno aggredito Kevin. E’ accaduto a Los Angeles, nel parcheggio di un centro commerciale e l’arrivo della polizia ha evitato il peggio: solo cinque costole incrinate, ma volevano abusare di lui, già stuprato a New York, all’epoca in cui suonava con la band ed io ero ad Haiti.”
Clint non fiatava, ascoltandolo con attenzione.
“Così ho preso uno dei due, quello che aveva messo in ginocchio il padre di mio figlio per farsi fare tu sai cosa, dopo che l’avevano già processato e condannato: in tribunale ho molti amici, non è stato difficile, anzi … E l’ho pestato a morte.”
“Sei … una continua sorpresa, straniero” – ribatté perplesso e colpito da quella sorta di confessione.
“Era per significarti che non sempre sono così ingenuo e coglione: ciò nonostante, troppi degli uomini, che ho amato, mi hanno fatto passare per tale.”
“E te ne sei venuto via da quella vita un po’ stretta, giusto?”
“Si vede, però, che non sono abbastanza furbo oppure sono proprio … sfigato” – rise, finalmente.


“Devo farmi una doccia … puzzo come una capra”
Jared si alzò a fatica, mentre Colin mandava e-mail alla End House, corredate di foto ed aggiornamenti, su quel viaggio ricco di sorprese.
“Ok … ti aspetto qui Jay” – replicò distrattamente l’irlandese, ma il corpo di Jared, privo del benché minimo brandello di stoffa, si era incollato alla sua schiena, altrettanto nuda, che ebbe un tremito, per l’intera lunghezza della spina dorsale.

“Sei sicuro Cole …?” – bissò con voce più roca il cantante, facendo scorrere gli indici sulle scapole del compagno, che scattò in piedi, come per un brivido smisurato ed ingestibile.
Roteò verso di lui, che spalancò i propri zaffiri, scagliandoli nei quarzi bruniti di Farrell, che iniziò a slacciarsi i jeans, sotto ai quali, peraltro non indossava nulla.

La sua erezione svettò già pronta a prendersi ciò che riteneva suo dal primo sguardo, che si scambiò con Leto un’eternità prima.

“Vuoi che accada qui, sul tappeto, contro il muro oppure nel box? A te la scelta, Jay” – e, brandendo i suoi polsi, Colin glieli intrecciò dietro al dorso, già imperlato di sudore, per il clima torrido.
In risposta, Jared gli leccò le labbra, per poi assaggiarle meglio.
“Scendi … e prendilo qui Jay” – gli bisbigliò, dilatando la sua bocca, con un bacio da togliergli il fiato.
Leto annuì, flettendosi, non senza segnare con una scia di saliva, il centro del busto di Colin, sino al suo inguine, dove, senza esitare, inghiottì il suo membro, con premura ed esperienza.

“Ja Jay … rallenta o …”
“O ti farò venire subito, Cole?” – chiese sfacciato.
“Impertinente … e … bellissimo” – gemette, sollevandolo di peso, per spostarsi nel bagno, dove si rinchiuse a chiave, con il suo ragazzo di Bossier City.
La sottile parete in cartongesso e legno, oltre la quale era stato ricavato quello spazio piuttosto esiguo, ma riservato agli ospiti, iniziò a vibrare, sotto ai colpi di Farrell, in preda ad una bramosia erotica incontenibile.

Jared ansimava ad ogni spinta, completamente avvinghiato a lui, come se fosse un burattino senza possibilità di decidere, ma non gli importava affatto.
Essere in balia del furore di Colin, rimaneva uno dei lati più apprezzati della loro storia, senza mai cedimenti o flessioni nel desiderio reciproco.

Verso l’epilogo, la foga del moro si trasformò a poco a poco in qualcosa di più dolce e consapevole.
Lui e Jared si guardarono, mentre il piacere zampillava dai loro sessi, esitando esclusivamente nel culmine, quando le rispettive palpebre vacillarono, devastate da una lussuria estrema.
Si strinsero con urgenza ed energia.

“Ti amo Jared …” – sussurrò Colin, accasciandosi con il consorte addosso, come se fosse una coltre, dalla quale non poteva e voleva staccarsi.

Si assopirono, mentre i suoni del mare, attraversavano la finestrella a forma di oblò, aperta poco oltre le loro figure, intrecciate in una perfezione assoluta e, all’apparenza, non scalfibile.




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