martedì 22 maggio 2012

SUNRISE - CAPITOLO N. 117

Capitolo n. 117 - sunrise


Meliti tamburellava le mani sul tavolo in radica, mentre sorseggiava un brandy, assorto in pensieri cupi.
Glam era al secondo bicchiere, seduto all’altro capo di quel mobile pregiato.
“Così finirai di ubriacarti, Geffen.” – bofonchiò il vecchio boss.
“Ci vuole ben altro Antonio.” – ed inspirando controllò il palmare.
“Ci sono novità dall’ospedale?”
“Nessuna. Jude è sotto sedativi.”

Scott era stato gentile ed accorto nel non traumatizzarlo.
In presenza di Glam, discreto e taciturno, ma partecipe con lo sguardo vivido sull’amico, che spesso cercava il suo conforto, anche silenzioso, il medico volle procedere non solo ad un controllo, ma anche alla prassi conseguente un’aggressione del genere.
“E’ un kit apposito Jude. Non temere, nessun dolore, ma in caso contrario, ti autorizzo a mollarmi un bel calcio sui denti.”
Scott sorrise, mentre sistemava un paravento tra sé ed il paziente, dopo avere tirato anche un ampio tendaggio, all’interno del suo studio.
“A cosa serve?” – domandò teso Law.
“Faccio un prelievo … Per la verifica di malattie del … Ci sono delle tracce dell’aggressore, le rilevo e poi verifichiamo, anche il DNA, è la procedura d’ufficio, però non chiameremo la polizia, ok? Conserverò personalmente i campioni ed i risultati nella mia cassaforte, la vedi Jude?”
La sua voce era persino dolce, quasi paterna.
Jude annuì, sbirciando oltre la tenda azzurrina, cosa stesse facendo Geffen.
Guardava oltre la finestra, concentrato su quanto accaduto, ritornando con la memoria a New York, a ciò che fecero a Kevin.
Il suo Kevin.
Lo avrebbe raggiunto, con Lula, dopo essere stato a villa Meliti, su richiesta di quest’ultimo.

“Hanno colpito la nostra famiglia. Come intendi procedere Glam?”
“Jude non vuole casini, questo mi ha chiesto ed io lo accontenterò.”
“Lasciando impunito quel ladro? Ha infierito su Jude, ti rendi conto che lasciamo a piede libero un potenziale psicotico? Che bisogno c’era di massacrarlo, bastava stordirlo e prendere quel dannato portafogli!”
Geffen si grattò la nuca.
“Una cosa non mi torna Antonio … Jude al polso aveva un orologio costoso e quel tizio non l’ha preso.”
“Forse non l’ha visto od è stato disturbato. Il parcheggio sotterraneo di un centro commerciale … Che idiota, ci sono decine di telecamere.”
“Hai ragione … Potrei … Solo che Jude mi ha fatto precise richieste”
“A me no, però! Sento un amico, lo spedisco a Los Feliz e ti faccio sapere: quelli della sicurezza ci mostreranno le registrazioni, con le buone o”
“Antonio, per favore …”
“Intendo essere generoso con loro, ci mancherebbe …” – e con un ghigno poco rassicurante, prese il telefono e compose un numero a memoria, come sua abitudine.


Robert tolse le scarpe, tenendo addosso la tuta dell’Adidas di due taglie più grandi.
Alzò il lenzuolo e si infilò nel letto di Jude, che lo strinse forte.
“Secondo te mi cacceranno amore?” – domandò piano Downey, dando dei baci leggeri sulle tempie del compagno.
“Non mi importa Rob … Non lasciarmi” – ed affondando il viso nel collo dell’americano, Jude si intristì, attanagliato dall’angoscia per avergli nascosto la verità.
“Dillo ancora una volta Jude e …”
L’inglese lo bloccò con un bacio mozzafiato.
Ne seguirono molti altri, fatti di tepore ed affezione assoluti.


Lula correva per i corridoi, con un giocattolo stretto al petto, come fosse una conquista.
Geffen lo seguiva sereno a poca distanza, ma non sufficiente per vedere chi c’era dietro l’angolo: Lula si bloccò, spalancando i suoi fanali di pece.
“Ciao!” – esclamò, facendo un saltello – “E tu chi sei?” – chiese sorridendo.
“Ehi ciao … mi chiamo Tim e tu devi essere Lula.”
Il ragazzo si accovacciò, arridendo alla simpatia del piccolo.
“Sei un amico di papà Kevin?”
Nel frattempo Glam sopraggiunse, incuriosito dalle loro voci.
Tim indossava soltanto un paio di pantaloni mimetici, nei toni del verde, era scalzo ed a dorso nudo.
“Salve, lei chi è …?”
Geffen lo scrutò, dubbioso.
“Avvocato, non mi riconosce? Ero il partner di Roger …”
“Ecco dove ti avevo già visto … ma cosa fai a casa mia mezzo nudo?” – domandò con aria poco rassicurante, prendendo in braccio Lula.
“Ma lui conosce papi Kevin, vero? Ah eccolo, ciao papi!!”
“Tesoro ciao … daddy …?” – gli venne spontaneo, così come gli morì in gola, almeno quanto l’occhiata di Tim, per nulla imbarazzato.
“Buongiorno Kevin” – lo salutò più cordiale e tornando a sorridere Geffen – “Devo seguire Lula nei compiti, non l’hai dimenticato, vero?”
“No … no, certo, ma Pamela mi ha telefonato, per Jude, come sta?”
“Migliora. Ok, vi lasciamo tranquilli, Lula ed io abbiamo da fare, vero campione? Piacere di averti rivisto, Tim.”
“Piacere mio, Glam … un tempo ci davamo del tu, comunque.” – e fece una smorfia scanzonata, le mani sui fianchi, come a mettere in mostra più efficacemente i propri addominali scultorei.
“Ah sì, ma davvero …?” – quasi sussurrò Geffen, allontanandosi.
Tim e Kevin rimasero soli.
“Ok, io vado.” – disse secco il giovane.
“Dove vai Tim?!”
“Torno al mio loft.” – aggiunse a testa bassa, oltrepassando Kevin, che lo trattenne per un braccio.
“Avevamo un programma per stasera Tim, cazzo!”
“Oh sì … cena fuori, passeggiata al chiaro di luna e poi un’altra scopata? Magari quando non sarai più così in fissa con il tuo daddy, ok?” – concluse brusco, per poi sparire davvero: Kevin non riuscì a trattenerlo in alcun modo.


“Secondo te è il nuovo fidanzato di papi?”
L’interesse di Lula era buffo, quando complice, nel suo esprimersi.
“Parli di Tim, soldino di cacio? Non saprei …” – replicò l’uomo in maniera serafica.
“E’ simpatico …”
“Sicuramente Lula.”
“Tu, però, sei il massimo papà!” – e ridendo felice, gli saltò al collo, interrompendo il dettato che stava scrivendo su di un quadernone, zeppo di ritagli e disegni coloratissimi.
Kevin bussò.
“Glam, perdona l’interruzione, vorrei parlarti un attimo, puoi?”
“Certo … Lula ripassa matematica, poi ti interrogo, ok?” – e gli scompigliò i capelli.

Passarono due camere oltre, senza dirsi nulla nel breve tragitto.
Glam si versò da bere.
“Ne vuoi Kevin?”
“No grazie. Volevo scusarmi Glam, per prima, non dovrei portare degli estranei in questa casa, senza avvisarti e soprattutto quando c’è il bimbo.” – esordì serio.
“Penso tu abbia il buon senso di portarci delle brave persone, quindi non vedo il problema.”
“Tim è … era”
“Una marchetta, vuoi che non lo sappia? In compenso quel Roger lo tirò via dalla strada, ma obiettivamente forse Tim passò dalla padella alla brace … Come l’hai conosciuto?”
Kevin inspirò.
“In … in un bar, per caso.”
“Ok.” – ribatté Geffen, scrollando le spalle e spostando la visuale dalle iridi di Kevin.
“Ok …” – mormorò il bassista, stringendo poi i pugni – “Non te ne importa oppure fai l’accondiscendente per adularmi, per avere il divorzio o sbaglio Glam?” – domandò con durezza.
“Io non voglio discutere quando c’è nostro figlio a pochi metri da noi Kevin!” – sbottò deciso, finendo la bibita in fretta.
“Tim mi ha mollato in asso e” – ma si interruppe, vergognandosi del pianto, che stava per assalirlo.
Glam sospirò, scuotendo il capo, appesantito da un’improvvisa emicrania.
“Vorrei che tu fossi felice, con Tim o con chi vorrai Kevin, possibile non riesca ancora a capirlo?”
Quel discorso suonò paternalistico ed odioso al suo cuore, così Kevin preferì uscire da quella camera, come una furia.
Geffen tornò da Lula, facendo finta che tutto andasse bene, quando invece il mondo là fuori, stava andando in frantumi, senza appello.




TIM

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