domenica 20 novembre 2011

One shot – Waiting for you

One shot – Waiting for you

Raramente faccio premesse, ma vorrei dedicare questa breve shot a chi mi segue in questo fandom e non solo, un pensiero all’amica Velocity_girl, che mi ispira in questa terza persona, un piccolo omaggio insomma XD
Buona visione e grazie per le recensioni meg :D


Lo sguardo basso, la barba lunga, un giubbino, sopra a dei jeans, tutto attillato, casual, ma su di lui sta benissimo, come un completo firmato da un grande stilista.
Un cappello in testa, che i maligni indicano come trucco per nascondere l’incipiente calvizie: Jude Law non ha bisogno di questi espedienti, Londra è fredda, umida, in questa serata del diciassette novembre, in un anno, il 2011, che finalmente volge alla fine.
Un bilancio: mentre i paparazzi insistono per strappargli un sorriso, inutilmente, lui lascia la prèmiere di un film, che non l’ha interessato minimamente, ma tutto va bene pur di non restare chiuso a casa, per aspettare una sua chiamata fuori programma.
Robert lo cerca sempre verso mezzanotte ed a volte, dopo il lavoro a teatro o sul nuovo set, è complicato rimanere svegli; così quando si assopisce, per poi destarsi di soprassalto, la voce di Jude è impastata, ma ugualmente felice nel sentirlo.

“Già rientrato?”
“Ciao Rob … sì … tutto a posto?”
“Lo vorrei sapere io da te. Sei ancora …” – “NO! … No …” – dall’impeto al senso di colpa, non vuole ferirlo, anche se è arrabbiato per un mucchio di cose, che hanno perso senso con il passare del tempo, come una montagna di cenere, destinata a sgretolarsi tra le sue mani tremanti, mentre sfiorava il volto di Downey, durante l’ultimo incontro, mesi prima.
Soltanto un reshoot di Holmes 2 era riuscito a farlo tornare in Inghilterra, ma Susan si era accodata, quindi la cena in un locale esclusivo era diventata occasione di chiacchiere inutili e sguardi carichi di dolore.
Eppure Jude non voleva più soffrire e ci aveva provato a lasciarlo, nel dirgli piano, “… pazienza, è andata così …” – fino ad urlargli – “Ti odio come non ho mai odiato nessuno Robert!!” – senza crederci neppure per un attimo.
Di attimi ne erano trascorsi parecchi sino a quell’ennesima chiamata, nel buio, mentre il suo corpo faceva fatica a riscaldarsi, tra le lenzuola gelide del loro letto: ci avevano fatto così tante volte l’amore, sì, così tante …
“Sei uscito …?” – domanda timido l’americano, del resto non ha più alcun diritto di controllarlo o giudicare le abitudini del suo ragazzo inglese.
“Sì … una prima, mi sono annoiato …”
“Mi dispiace Judsie.” – e lo annienta, ogni volta che lo chiama così, fa troppo male, che in quel pezzo di zucchero, fatto del nomignolo, affibbiatogli da Rob, con uno smisurato affetto ed il desiderio di segnare tutta la vita di Jude, anche in quel modo.
“Anche a me Rob …”
“Per cosa?”
Un silenzio più lungo del consueto, quelle pause in cui a Jude bastava sentirlo respirare, sempre meglio che ascoltarlo mentre gli diceva che non poteva andare a Londra anche quel fine settimana.
“Non vieni neppure stavolta, giusto …?”
“Certo che ci vengo, ho già preso i biglietti!” – puntualizza con risentimento.
“Sei ancora alle Hawaii?”
“Siamo appena arrivati Jude …”
“Sì, vero, scusami.”
“Piantala di chiedermi scusa, cazzo!”
“Perché ti arrabbi, ora …?”
“Tu conosci il motivo Jude, conosci di me ogni singola sfumatura!!”
“Non alzare la voce Rob.” – replica calmo.
“Sono frustrato.”
“No, sei in vacanza con tua moglie incinta … di te.”
“E di chi se no Jude?”
Un altro silenzio, un empasse, fatto di rammarico ed un filo di disperazione.
“Arriverò … venerdì notte Jude … non aspettarmi sveglio …” – accenna un sorriso, inghiottendo un singhiozzo, sbriciolando le lacrime in gola.
“Sai che non lo farò … dormire … non ci riesco senza di te.”
“Sapendo che sto arrivando … ?”
“Accade sempre, sai anche questo.”
Il naso spelato di Downey, riflesso nello specchio del bagno, è da solo, Susan a farsi un massaggio, lui nascosto nel cesso a chiamare l’amante: Jude glielo sibila, sembra esacerbare il passaggio, è quasi allo stremo della sopportazione.
“Faccio quello che posso … vorrei darti di più Jude, ma … Poi, ora …”
Jude riattacca, certo è svilente chiudere la porta anche in quel modo, tra loro non ci sono soltanto migliaia di chilometri, a questo punto del cammino viaggiano in due dimensioni parallele, dove di rado si apre uno spazio temporale, lasciando alla luce la libertà di spandersi, per poi tornare nel buio in maniera brusca e senza appello.
Robert deve tornare a casa, Susan ha bisogno di lui, il lavoro, i contratti e poi bla, bla … bla … Suona, sta suonando ed insiste.
Smette.
Riprende.
Smette di nuovo, a Jude sembra di sentirlo urlare in quel cesso “Cazzo rispondimi Jude!!!”
Lo fa, svogliato, assorto su come fargli capire che è finita.
“Jude …”
Sta piangendo, come se servisse a qualcosa.
Jude non replica, è persino scivolato sul parquet, osserva il bordo delle tende, sarebbero da lavare, deve informare miss Gramble, una governante efficiente e riservata, sul da farsi.
Lei risolverà senza che lui neppure se ne accorga e Jude vorrebbe che quella signora arcigna facesse altrettanto con quel disastro di relazione con Robert Downey Junior.
“Jude …”
“Sono qui.”
“Cosa facciamo?”
Sì, lo strangolerebbe, un epilogo ideale alla tragedia rappresentata da un amore impossibile da gestire, da metabolizzare, da superare ed andare oltre, senza riconoscersi più, visto che l’essenza di loro è rimasta intrappolata in quei baci, nelle carezze, nel fare l’amore, nello scopare in posti assurdi, nel … Jude è eccitato, quasi ridacchia per quanto Rob riesca a fargli quell’effetto nel bel mezzo di una discussione orrenda … I ricordi, accidenti a loro.

“Ti amo da morire Rob.”
Si è arreso, inevitabile.
“Ci vediamo venerdì allora …”
Vede il suo sorriso, mentre Downey fa altrettanto in quel riflesso gioioso di sé.
“Ti aspetto. Ciao Rob …”
“Ti amo … tanto Jude.” – ed annuisce, come se si dovesse convincere, per convincere anche l’altro.
“Lo so.”

THE END


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