martedì 12 giugno 2012

SUNRISE - CAPITOLO N. 130

Capitolo n. 130 - sunrise


“I tuoi occhi, sono così grandi … a volte sembrano quelli di un bambino, spalancati sui propri sogni, colorati come aquiloni”
“Stai al buio?”
“No, riposo la vista …”
Geffen accese l’abat jour, sul tavolino, accanto alla poltrona.
“Ciao Glam …”
“Ciao tesoro”
Le immagini di Jared scorrevano ancora sul video, rimasto acceso, ma senza audio.
“Scott mi ha aperto … è in piscina, ora.”
“Sì … certo.” – ed alzandosi, Glam lo accolse tra le sue braccia.
Si era fatto una doccia ed indossava unicamente un paio di jeans sbiaditi, che Jared ricordò di avere visto in alcune foto alla Fondazione.
“Come ti senti? Scott mi ha detto”
“Scott parla troppo” – Geffen inspirò, tornando a guardarlo, senza lasciarlo andare.
Sorrisero entrambi, velatamente imbarazzati.
“Dovresti essere con Colin”
“Lui sa che sono qui”
“E’ giusto”
Le loro mani erano come immobili, le une sulla schiena dell’altro.
La pelle di Glam aveva un buon profumo, la prima parola che a Jared veniva sempre in mente, quando l’uomo lo stringeva a sé in quel modo, era “virilità”, poi una frase - “vorrei fossi mio padre”, ripetuta milioni di volte.
Nello sguardo dell’uomo, però, non vi era alcuna pretesa o bramosia, lui contemplava Jared, come qualcosa di prezioso.
“Ti amo tanto … Mi sono rimaste le parole Jay … ed il saziarmi di te, guardandoti, come ora, probabilmente non mi si offriranno ulteriori occasioni, ma non importa, sai ciò che desideravo per te, vero?” – chiese dolcemente.
Le iridi di Jared tremavano.
“Scusami Glam …”
“Per cosa?”
Il cantante non riusciva ad esprimere quello che poteva definire sconcerto, verso la pazienza e la lungimiranza di Geffen, che mai si era illuso su di loro, nonostante la cerimonia privata, l’anello e le ore vissute in quel paradiso, come se fossero una famiglia, finalmente.
Ora quel cerchio di oro massiccio, particolare nella foggia, luccicava all’anulare destro di Jared, che sembrò mostrarlo a Glam – “Lo terrò sempre con me …”
Geffen arrise a quella promessa, anche se la sentiva priva di fondamento.
Baciò le tempie di Jared, prima la destra, poi la sinistra, passando le labbra morbide sulla sua fronte, spostandogli i capelli, che in parte ricoprivano il suo viso rivelatore.
“Sei radioso Jay … Adesso sei di nuovo felice, però devi andartene da qui.”
Leto annuì, sentendosi mancare il fiato.
“Glam …”
“Vai amore …” – ed abbozzò un sorriso.
“Ti … ti posso telefonare, più tardi?”
“Ci conto Jared”
“Ok …”
“Ok” – Geffen sorrise di nuovo, baciandogli gli zigomi, come se gli stesse facendo l’amore, era questa la percezione da parte di Jared.
“Posso … potrei darti anch’io un bacio Glam?”
Un’esitazione, poi Geffen disciolse il loro intreccio – “No piccolo … E’ terribile, per me, rinunciarvi, però dopo sarebbe anche peggio, ne sono sicuro.”
“Mi dispiace”


Kevin arrivò a grandi passi, dall’atrio a bordo vasca, dove Scott stava armeggiando con un tablet.
“Dov’è Glam?” – chiese con fare nervoso.
“Si sta rilassando.” – replicò lui, perplesso dal suo atteggiamento ostile.
“Con Jared?! Ho visto l’auto qui fuori.”
“Non ne ho idea, non sono affari miei.”
“Nemmeno nostro figlio sono affari tuoi Scott, ma non hai esitato ad intrometterti!”
Scott gli si parò davanti, alzandosi dal lettino prendisole e togliendosi gli occhiali da lettura.
“Se non ci dai un taglio alle tue cazzate Kevin, se non porrai fine ad un’inutile guerra contro Glam, ci saranno delle conseguenze, lo capisci o no?!” – ruggì il medico, senza rendersi conto, quanto Kevin, che Jared li stava ascoltando oltre le vetrate della veranda.
“Ma cosa diavolo vuoi Scott??! Con quale diritto puoi interferire!!??”
“Me l’hai quasi ammazzato con quest’assurdità dell’affido esclusivo!”
Kevin strinse i pugni, ossigenandosi – “Voglio vedere mio marito … è ancora mio marito, che ti piaccia o no!” – e senza esitare il bassista entrò in casa, trovandovi Jared.
“Ah tu sei qui … Non la smetterai mai di tormentarlo, giusto?” – chiese aspro il giovane.
“Colin ed io siamo tornati insieme” – ribatté Jared composto – “Questo, comunque, non mi porterà mai ad abbandonare Glam, te lo garantisco Kevin.”
“Fottiti …” – sibilò, sentendosi bruciare l’anima.


Dean si infilò una t-shirt di Sammy, comoda, lunga e stropicciata dal suo profumo.
Si rannicchiò sul divano, non aveva voglia di lavorare, mentre Sam era uscito piuttosto presto, per completare un cattering urgente.
Cercò i soliti pantaloni dell’Adidas, finiti sotto al cuscino della poltrona, dove si incastravano a vedere la tv.
La accese, svogliatamente: un notiziario trasmetteva le ultime sulla cronaca.
Quando Dean vide scendere da un furgone blindato un tizio, in tuta arancione, ammanettato e scortato da quattro agenti, gli si gelò il sangue: era Stabler.
Lo stavano trasferendo dal penitenziario al tribunale, per un’udienza.
Arrivarono poi dei funzionari governativi, che formavano un cordone di sicurezza intorno ad un ragazzino, spaventato e con addosso un abito troppo elegante per la sua età.
Le frasi tipiche per l’occasione, sembravano rimbombare per la stanza: Dean corse in bagno a vomitare, scoppiando poi a piangere.
Lo sguardo di quello che era un bimbo, lo stesso che Dean vedeva specchiato prima di coricarsi, prima che Stabler si avvicinasse, pesante, dal corridoio, i suoi passi, Dean li ricordava come schegge, accartocciato sul materasso, in quella stanzetta con la carta da parati costellata da orsetti e mongolfiere, quello sguardo, dalla tv, sembrava essersi conficcato nel cervello del broker.
Una nuova scheggia, più dolorosa delle precedenti.


Geffen si era addormentato.
Kevin lo stava osservando: non aveva faticato a trovarlo, quell’abitazione era tanto spaziosa quanto semplice.
Il bassista si appoggiò allo stipite, poi non seppe resistere: andò a sedersi sul bordo, accarezzando la nuca di Glam, che socchiuse di poco le palpebre.
Un raggio di sole illuminò quei camei azzurri, dei quali Kevin si sentiva ancora innamorato.
“Ciao …” – mormorò Geffen stupito.
“Ti avevo lasciato un messaggio …” – disse appena percettibile Kevin.
“Ho spento il cellulare, ma ti avevo dato il numero di qui, vero …?”
“Certo Glam, l’hai fatto, per … per Lula.”
L’avvocato si sollevò, appoggiandosi allo schienale.
“Che succede Kevin?” – domandò calmo.
Lui non rispose, tormentandosi le mani, fissandole, per poi spostare la sia visione sui mobili, dove c’erano parecchie foto, alcune anche della coppia, con e senza il figlio, un paio di Jared ed altrettante con Kevin, una soltanto di loro due, abbracciati, sorridenti alla End House.
Jared teneva il capo inclinato verso Kevin, girato verso l’obiettivo, erano incantevoli, Glam lo pensava da sempre.
Glielo disse, notando che l’attenzione di Kevin si era focalizzata su quell’immagine.
“Sembra non sia esistito mai …”
“Cosa Kevin?”
“Il nostro ieri … Probabilmente è rimasto imprigionato in una bolla di felicità, scoppiata da un pezzo Glam …” – tornò a guardarlo – “Da un bel pezzo.” – e scrollò le spalle, sconsolato.
Geffen tossì, recuperando la camicia dimenticata sotto al piumone.
“Carina la tua triad … Un pochino maturo per essere un Echelon daddy” – poi si morse le labbra, pentendosi per avere azzerato le proprie difese.
Geffen non sembrò approfittarsene per nulla, il che diede ancora più fastidio a Kevin, terribilmente confuso.
“E Tim?”
“Andato …”
“In che senso Kevin?”
“Si è incazzato, la Madison l’ha trattato come immondizia e lui non è come lei dice, non lo è affatto.”
“Non ho dubbi su questo, sembra un tipo in gamba, ma un legale ragiona a senso unico, deve tutelare il proprio assistito e la reputazione pesa più di qualsiasi prova tangibile Kevin.”
Kevin sorrise.
“Incredibile, stiamo parlando … come se fossimo amici davanti ad una birra Glam”
Anche Geffen sorrise.
“Ci saremo detti miliardi di parole in questi anni Kevin, tra noi non è mai stato complicato …”
“Già … ce ne siamo perse solo un paio per strada, Glam, le più importanti” – e si rialzò per andarsene.
Geffen non lo trattenne.

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