sabato 30 novembre 2013

ZEN - CAPITOLO N. 222

Capitolo n. 222 – zen



Ivan miscelò due cucchiaini di zucchero al caffè di Christopher, che gli sorrise, per essersi ricordato di quel dettaglio.

Era uno dei tanti, che il body guard non avrebbe mai dimenticato, come quella giornata.

“Sono tutto orecchi” – provò a rilassarsi, facendo una battuta scontata, ma le iridi azzurro ghiaccio del suo interlocutore, gli mandavano le pulsazioni alle stelle.

“Sto per iniziare la mia carriera di … attore … insomma, è una serie sui vampiri, hai presente?”
“Argomento che piace, da quel poco che ne so Chris” – abbozzò.

“Dieci episodi, più quello odierno, riservato ad un gruppo di ascolto, per vedere se il prodotto funzionerà o meno”

“Tu sei il protagonista?”
“Saremo tre, poi c’è un’attrice, forse un paio, dipende da come verranno valutati i personaggi, magari mi scartano al primo ciak” – rise impacciato.

“Impossibile” – ribatté serio il sovietico.

“Troppo buono Ivan, comunque la mia dose di celebrità la porterò sul set e ci sono già dei fan entusiasti, me l’ha spiegato lo staff di pr, insomma sembra già un successo per loro, ma io ho i miei dubbi”

“Non fallirai Christopher … E Steven cosa ne pensa?”
“Al momento … non pervenuto”

“Ok … Per me è una bella prospettiva, hai rinnovato anche il tuo lavoro, insomma ti vedo entusiasta …”

“Sì Ivan lo sono e vorrei … coinvolgerti”

“Sul serio?” – bissò stupito.

“Sì, mi servirà un professionista, quale sei tu …”
“Una guardia del corpo quindi” – disse fievole, irrigidendosi.

“Esatto” – Chris sorrise, ma per poco.

“Capisco” – e si rialzò, prendendo la giacca.
“Ivan dove stai andando? Ti ho fatto una proposta di impiego, di te mi fido e”

“E cosa?” – ruggì – “Vuoi sapere il mio prezzo?!”

“Ivan vorrei ingaggiarti, non credo di essere stato così offensivo!”

L’uomo prese fiato, provando ad allentare la tensione avvertita allo stomaco.

“Ho alzato troppo la testa, vero? Non ne ho alcun diritto a quanto pare Christopher” – disse amareggiato.

“Non volevo essere inopportuno, se questa è la tua reazione: hai frainteso il mio invito, credevo di essere stato”
“Chiaro?! Come il sole. Accetto, quando comincio?”

“Anche oggi …” – replicò fievole l’ex di Boydon.
“Perfetto. Non vedo l’ora.” – concluse serio, andando a piazzarsi sulla prima poltrona a tiro: prese una rivista e finse indifferenza.

“Bene … Vado a cambiarmi … poi usciamo …”

“Aspetto qui. Non mi muovo, stanne certo.”






Lo spiraglio di luce ferì prima il buio e poi il cuore di Robert.

Era già la seconda notte che succedeva, ma lui non voleva ancora crederci.

Pensava di avere sepolto quella paura sorda, tra le pieghe di un passato torbido, di cui si vergognava, senza attenuanti.

I giudici dell’epoca, infatti, non gliene vollero riconoscere nemmeno un briciolo, al sesto arresto, lasciando che marcisse in galera per mesi.

Lì ogni rumore diveniva assordante, ogni cigolio fonte di angoscia.
Mani su di lui, respiri grevi e maleodoranti, di sudore, di parole sconce e morbose, perché Robert Downey junior era un divo decaduto, una promessa non mantenuta, definizioni martellanti, che i giornalisti usavano come una nenia, fatta di umiliazione e condanna.

Poteva avere tutto e lo aveva gettato nel cesso, sputando sugli agi, sulle porte aperte, grazie al padre e sul successo, che aveva comunque afferrato, grazie ad un talento insindacabile.


Ora, il fiato di Jude gli si spargeva nel collo e nella bocca, dove il marito gli imponeva dei baci sporchi, come le sue attenzioni, alle quali Robert doveva arrendersi, accettando la sua invasione, i suoi fianchi più robusti, che infierivano su quel corpo reso nuovamente debole e magro dall’inappetenza, dall’abbandono.

Avrebbe voluto chiudere a chiave la porta, barricandosi nella camera adiacente quella di Law, che cominciava a bere dopo la favola della buonanotte alle bimbe, ignare di tanta sudicia sopraffazione.

Avrebbe voluto dirlo a qualcuno, celando sotto la camicia, sempre più larga, i lividi ai polsi, che Jude gli sollevava oltre la testa, tenendolo bloccato, aperto, violato; senza giri di parole: stuprato, come avvenne in carcere.



Geffen guardò l’ora; poi le valigie pronte, per il suo viaggio in Svizzera.

Il suono non era quello della sveglia, puntata alle sei di quella mattina del primo marzo, bensì il suo cellulare.

“Robert …?” – sussurrò a sé stesso, leggendo il nome di Downey sul visore.

Rispose.

“Sì, pronto …”

All’altro capo un silenzio strano: c’era come un crepitare e Glam faticò a distinguere il respiro dell’attore da una semplice interferenza.

“Robert? Pronto!” – si mise seduto, allarmato da un presentimento.

“Mi dispiace Glam … mi dispiace così tanto …”
“Rob ma dove diavolo sei? Che succede?!”

Il suo tono si alzò, così lui, in preda ad un panico fondato.

In quelle due settimane non si erano più sentiti e Geffen addirittura credeva che le cose si fossero sistemate all’interno della coppia.

L’avvocato si era sottoposto a delle terapie preparatorie, in vista della trasfusione completa di sangue, che Scott gli aveva prenotato in una clinica elvetica, di ultima generazione, per le ricerche di avanguardia, sulle quali il medico riponeva speranze, ritenute vane da Geffen.

Solo alcuni componenti della famiglia erano a conoscenza del suo viaggio: lo avrebbero accompagnato unicamente Kevin e Tim, oltre a Scott ovviamente.


“Robert parlami, dove sei??!”

“Sono un vigliacco” – balbettò, sempre più debole, come se si stesse spegnendo.
Poi più nulla.



Daniel si mise alla guida, con a fianco Glam e sul sedile posteriore Pana.

“Ti dico io dove andare, ok?”
“Certo … Non sono ancora molto pratico, mi dispiace” – disse il terapista, concentrato sulla superstrada, che li avrebbe riportati a Los Angeles.

Nel frattempo un giro di telefonate risultarono inconcludenti: nessuno sapeva niente di Robert.
Law non rispose affatto alle chiamate di Geffen, che decise di recarsi in ospedale.

“Pensi che Robert abbia avuto un incidente?” – chiese improvviso Pana.

“Forse … forse peggio …”

Una chiamata lo fece sobbalzare.

Era Laurie.
Brendan Laurie.



Steven stava appoggiato al muro, fuori dal reparto di Scott.
Quando li vide sopraggiungere, si precipitò da loro.

“Ciao Glam, chi ti ha chiamato?”
“Robert, poi Brendan: qualcuno vuole spiegarmi cosa …”

Oltre la porta scorrevole vide Jude, accasciato su di una sedia, con accanto Colin ed alle sue spalle Jared, che iniziò a correre verso gli amici.

“Jay … ma …?”

“Glam stammi a sentire” – provò a distrarlo Boydon, senza riuscirvi.

Geffen era ormai ad un passo da Leto: lo afferrò per le spalle, supplicandolo con gli occhi pieni di lacrime di dirgli la verità.


“Ha … ha preso dei barbiturici … Robert li ha presi e non ci dicono niente” – singhiozzò, mentre Glam lo stringeva sul petto, come a volerlo salvare, almeno lui, da una minaccia invisibile.

Daniel, vedendolo vacillare, sostenne prontamente Geffen, che si divincolò brusco, non senza scusarsi, accarezzando amorevole Jared, che barcollò, fino all’abbraccio di Pana, spaventato da quella situazione preoccupante.

“Io devo andare da Jude …” – ed il passo del legale si fece deciso.

Spietato.

Farrell appena si accorse di lui, si sollevò, provando a dire qualcosa, ma Glam lo spostò veemente, brandendo poi Law per il bavero della camicia, sporca del vomito di Robert.

Il marito aveva provato a farlo rigettare, trovandolo cosciente, riverso sul pavimento del bagno.


La schiena dell’inglese rimbalzò contro la vetrata in plexiglass verde acqua, schiantandosi per la spinta di Geffen, in collera totale.

“Una volta hai provato ad uccidermi, perché l’uomo che amavi, si era innamorato di me, che lo adoro come nessuno al mondo!! Ora, che l’hai distrutto con la tua superbia ed arroganza, cosa pensi che dovrei farti Jude??!” – urlò, incurante del luogo e di chi stava accorrendo per dividerli.

“Ho abbastanza forza per farti fuori o credi che non ne sia capace??” – ed iniziò a picchiarlo, senza che Law reagisse minimamente.

Sembrava un fantoccio, in balia di una furia omicida.

Con estrema difficoltà, Steven e Colin riuscirono a separarli.

Il respiro di Geffen era in pieno affanno: sentì un formicolio intorno agli occhi, poi una fitta allo sterno.

Quindi il buio, dove si augurò di potere ritrovare Robert, per non lasciarlo più andare via da lui.

Mai più.



Lux spalancò la blindata con un sorriso.

“Mon petit, Harry, benvenuti” – e li abbracciò con un unico gesto affettuoso.

I ragazzi arrisero alla sua benevolenza, assaporando nell’aria il profumo di biscotti e caffè, caldi ed invitanti sopra il tavolo della terrazza.

“C’è un clima stupendo, amo la California” – esclamò il francese, facendoli accomodare.

Louis si guardò intorno.

“In effetti qui sarà pazzesco per la cerimonia, hai ragione Vincent … Anche Harry è d’accordo”

Styles annuì sereno, scegliendo della marmellata, per le fette biscottate, che Vincent aveva già imburrato per tutti.

“Ho parlato con quelli del cattering, qui ci sono i menu, decidete voi”
“Dovresti farlo tu … Sei molto generoso ad offrirci la cena e non solo …” – intervenne educatamente Haz.

“Sono le vostre nozze … Ed io sono orgoglioso di partecipare e …” – arrossì – “E di accompagnare Louis sull’altare …” – ed indicò l’ampio terrazzo, dove il pastore avrebbe celebrato il rito.


“Forse gli invitati penseranno che siamo un po’ pazzi …” – mormorò Boo – “Ma nessuno ci ha sostenuti come hai fatto tu, Vincent” – sottolineò il giovane, con una sincerità commovente.

Lux si grattò la nuca, in una gestualità carica di fervore tipica della sua indole schietta e genuina, che aveva suscitato simpatia anche in Harry, dal principio della loro particolare frequentazione.

“Mi lusinghi mon petit … Spero di essere all’altezza, di non inciampare”

“Di certo non nel velo della sposa” – scherzò Louis, scoppiando a ridere come un bimbo.

Era incantevole.

Gli sguardi sia di Harry, che di Vincent, si posarono sulla sua gioia, come una brezza, colma di ammirazione pura.

La vibrazione nei suoi jeans, però, lo distolse di botto da quella sensazione rassicurante e piacevole.

“E’ Brent … Chissà cosa vuole … Ciao fratellone, dimmi tutto”


Kevin lesse velocemente la cartella clinica, fissata ai piedi della lettiga.

“Sono grave?”
Geffen tossì, nel domandarglielo.

“Daddy … oh miseria!” – e volò sul suo petto, in preda ad uno sconforto ed una rabbia evidenti.

“Che cazzo ti è saltato in mente Glam?! Nelle tue condizioni …” – gli tremò sul cuore, indebolito, ma ancora combattivo.

“Dove mi hanno portato? In cardiologia?”
“Sì daddy … Scott e Preston ti hanno rianimato, poi Jim ti ha fatto un’iniezione ed il battito si è stabilizzato”

“Come sta Robert?!” – si ricordò improvviso.

“Non agitarti, è fuori pericolo anche lui …” – sospirò depresso.

“Scusami Kevin …”
“Ma per cosa? In fondo ti capisco: Jude ha detto delle cose … ti giustificava, diceva che dovevi farlo fuori, che sarebbe stato meglio … Siete impazziti? Mi vuoi spiegare?!”







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