sabato 8 settembre 2012

SUNRISE - CAPITOLO N. 190

Capitolo n. 190 - sunrise


Colin si avvicinò come al rallentatore o almeno così lo percepiva Jared, con gli occhi sbarrati, vitrei.
Posò le dita tremanti alle sbarre di quel letto comandato elettronicamente, dove una coperta ampia sovrastava il corpo esile del leader dei Mars, che con la loro musica avevano attraversato il mondo, facendo saltare, gridare e gioire milioni di ragazzi, che in parte li avevano dimenticati.
Chi restò, dopo tanti anni, proseguiva a seguire il loro lavoro, sempre più esiguo, ma quel nuovo disco, rappresentava una promessa, che Jared non voleva disattendere.
Si era aiutato anche con la divine, per potere completare un progetto ambizioso, con sonorità innovative per la band.
Jared ne era sicuro: sarebbe stato un successo e loro tre sarebbero tornati sulla cresta dell’onda, coadiuvati anche da Chris, motivato a riprendere una carriera ormai accantonata, per la sua nuova famiglia con Steven e Clarissa.
Mancava solo Kevin, ma lui lo avrebbe convinto.
Già Kevin …
“Kevin …”
Sembrava un gorgoglio, dal profondo del suo essere indebolito e stanco.

Geffen ebbe un sussulto.
Jared chiuse le palpebre grevi e tumide, liberando una lacrima cristallina e veloce.
“Kevin …”
Forse era una richiesta d’aiuto, forse soltanto un riflesso di un suo pensiero, mescolato ad un milione di altre elucubrazioni, che si accavallavano, schizzando da un contesto all’altro, fuori controllo, dilatandosi, fino ad implodere nel suo cervello.
Ne scaturì un urlo e da sotto quella coltre emersero le sue mani adunche, ma soprattutto i polsi, bloccati da cinghie ed una sorta di manette in cuoio ed acciaio.
“Ma cosa …?”
Un assistente di Foster stava transitando e le invettive di Geffen lo investirono: “Cosa diavolo gli state facendo!! Slegatelo immediatamente!!”
“Senta, il paziente potrebbe farsi del male e poi lei cosa mi rappresenta per il signor Leto?”
Glam si sentì avvampare, ma Colin si intromise – “Non sono affari suoi! Io sono il marito del signor Leto e le ordino di liberarlo, subito!!”
Il medico acconsentì, non senza liquidarli, prima di andarsene, con un sarcastico – “Ci rivediamo appena mi implorerete di bloccarlo nuovamente, auguri!”

Shannon si trattenne a stento dal picchiarlo, ma per fortuna Josh aveva il potere di restituire la calma al suo animo sconvolto.
Il batterista gli chiese sommessamente di portarlo fuori di lì, garantendo a Colin e Glam che sarebbe tornato al più presto, aveva unicamente bisogno d’aria e di sfogare la propria disperazione.

La terrazza ridivenne il luogo dove esaudire quell’esigenza impellente e drammatica.
Shan si piegò, in un angolo, tra bossi e ciotole di azalee, a piangere come un bambino.
Josh si accovacciò accanto a lui, in silenzio, accarezzandogli la schiena.
“Tesoro … ora so che vedi tutto nel peggiore dei modi e lo riconosco, la situazione è grave, però ne verremo fuori … insieme, senza perderci di vista, non ci arrenderemo, per Jared, anche se ha sbagliato … So che tu l’hai già perdonato” – disse con pacatezza amorevole.
“Lui … lui ha visto degli amici morire per la dipendenza e … e poi con Colin … Perché non è venuto da me, perché cazzo non l’ha fatto!!?” – sbottò esasperato, aggrappandosi al collo di Josh, che mescolò i loro respiri, baciandolo piano, con tenerezza.
Shan attinse a quel contatto, come qualcosa in grado di alleviare il suo malessere e proiettarlo in una dimensione alternativa a quella paranoia infinita.
Trascinò Josh, senza preavviso, in una rientranza buia, spogliandosi maldestramente e facendo altrettanto con gli abiti leggeri del compagno.
Seminudi e sudati, si intersecarono come un groviglio, di ansiti e frasi mozzate – “Scusami … scusami Josh” – Shan lo disse, mortificato dalla sua stessa veemenza, nell’invadere con spinte crescenti il corpo del giovane, mentre lo teneva sollevato per le cosce ed addossato al muro.
Josh si apriva a lui, senza alcuna protesta, la bocca affossata nel collo taurino di Shan – “Sono qui Shan … sono qui e ti amo” – ma poi un gemito più intenso dilagò da lui, mentre l’altro si svuotava, inesorabile e virile nel suo canale stretto e caldissimo.
Si accasciarono, incerti nei movimenti, ma legati da una visione reciproca ed estatica.
“Ti voglio bene Josh …”
Fu la cosa migliore, che Shan potesse fare giungere al suo cuore al principio di quella notte.


“Papà …”
“Sì, sono qui Jared”
Era la consueta allucinazione o quel posto, che nella sua testa rimaneva ancora il migliore per trovare rifugio ed un amore negato: Jared lo cercava di continuo e Glam non glielo avrebbe mai negato, tanto meno a parole, nell’interagire con lui, che con una mano teneva quella dell’avvocato e l’altra quella di un Colin, al confine con l’esasperazione più nera.
“Ho … ho paura …”
“Lo so tesoro … Jay noi ti siamo vicini, cerca di … di resistere piccolo”
La commozione dell’uomo, si mescolava a quella di Farrell, che scuoteva la testa, assediata da un timore assordante: “E … e se il suo cuore non reggesse a questi sforzi …? Mio Dio Glam …”
“Foster dice che gli ha somministrato qualcosa perché ciò non avvenga … Non pensarci” – disse risoluto, ma sotto voce.
Colin annuì, posando poi un bacio sulla tempia di Jared, che lo scrutò, come se non lo riconoscesse: stava accadendo.
“Che … che cosa vuoi …? Non toccarmi, non toccarmi sporco maiale!!”
Con chi ce l’avesse nessuno lo sapeva, forse un ricordo brutto della sua infanzia, di quando fu molestato da quello zio, che poi abusò di lui: Colin si diede quella spiegazione e se la fece bastare, sperando che Jared non rivivesse invece la violenza subita ad Haiti.
Era come un lago di verità nascoste, nel quale si poteva soltanto annegare senza alcuno scampo per lui.

Geffen lo alzò, rendendosi conto che aveva urinato e non solo.
“Jared non agitarti, adesso ti cambio, ok?”
Gli sorrise, ma poi, anche con lui, qualcosa andò storto.
Jared si divincolò dal suo abbraccio, scalciando ed urlando come un ossesso.
Giunse Shannon, con Josh ed entrambi provarono a calmarlo, non senza fatica.
“Shan … Shan sei tu …? Dove sono … perché sono … sono così sporco …?”
Scoppiò in lacrime, vergognandosi.
Colin lo strinse sul petto, dopo avergli sfilato la casacca: Glam aveva già una spugna imbevuta di acqua e disinfettante, Shan un pigiama pulito e Josh degli asciugamani ampi.
“Scusami Cole … scusami”
“Sssstt … non è niente … Sei .. sei il nostro tesoro, il nostro cucciolo …” – sembrava parlasse a Thomas o Ryan.
“I … i miei bambini” – sussurrò Jared, pensando proprio a loro.
Josh aveva già cambiato le lenzuola, mentre Jared veniva lavato e rivestito su di una brandina, messa lì apposta per quell’operazione, che si sarebbe ripetuta diverse volte prima dell’alba.
Un’alba che sembrava non volere arrivare mai.


Quando Glam chiuse le ante scorrevoli del box, gli sembrò di entrare in un mondo a parte.
Prese una spazzola per le unghie e se la strofinò sulle mani, per cancellare l’odore di vomito ed urina impregnatosi, come un pessimo ricordo di quell’esperienza condivisa insieme a Jared, che solo verso le sei aveva trovato un minimo di pace.
Era arrabbiato, anche con sé stesso, come Shan, come Colin, di non avere agito con tempestività, pur rendendosi conto che qualcosa non funzionava in Jared.
Il problema restava la fiducia mal riposta, in un’assennatezza proverbiale, tipica di Leto, ma andata in frantumi contro il muro delle sue ansie e delusioni.
Occorreva resettare tutto, nuovamente, ma Geffen si sentiva come svuotato.
Più volte Jared si era appeso al suo collo, come un bimbo impaurito e l’essenza del loro legame simbiotico forse rimaneva soltanto più questa: la cosa lo infastidiva, lui era il padre, Colin il consorte, amico, amante, Jimmy forse una distrazione, un tuffo nel passato, una proiezione di sé.
Glam si sentì a disagio, erano riflessioni inopportune, quasi offensive, seppure fondate, nei riguardi di Jared, che stava lottando per riemergere da una melma vischiosa.
Che se la fosse cercata lui, quella condanna, non era sufficiente a Geffen per cancellare quell’insofferenza dilagante.
Aprì i getti, attivando la cromo terapia: colori differenti si propagavano dal rettangolo in acciaio, dal quale zampillava una sorgente di luce e goccioline vaporizzate.
Aveva attivato gli scuri, il sole lo infastidiva.
Aprì i palmi contro la parete di mosaici e poi avvertì una presenza, scorse un’ombra.
“Glam, sono io, Rob … tutto a posto?”
La voce di Downey era morbida e gentile.
Geffen provò l’istinto di rubargli un bacio, anziché dargli risposta.
Invece sorrise, trattenendo un’eccitazione dilagante: possibile che Robert gli facesse quell’effetto, nonostante il frangente a dire poco sovraccarico di depressione?
“Ciao tesoro … sì insomma.” – e spalancò quella barriera di cristallo temprato, mostrandosi senza remore, anche se nella semi oscurità dell’ambiente, scheggiato di fasci verdastri, poi blu, infine rossi e poi di nuovo verdi.
“Tieni …” – e gli porse l’accappatoio, abbassando lo sguardo, arrossendo.
“Dio Rob … eppure mi conosci bene”
“Non mi sono ancora … abituato, probabilmente” – e rise complice.
Era adorabile.
“Rob, io …” – Glam si morse le labbra, quindi si coprì maldestramente.
“Come sta Jared?”
“Per me è stata la notte peggiore di un’intera esistenza, figurati per lui” – disse sbrigativo, cogliendo in Downey un ulteriore imbarazzo.
Lo strinse forte.
“Scusami Rob … scusami”
L’attore si rese conto che il corpo nudo ed umido di Glam era aderito al suo, per non essersi allacciato l’accappatoio.
Cercò la sua bocca, voleva baciarlo e voleva che succedesse immediatamente.
Si assalirono con quel furore ingabbiato nei loro addomi contratti, per l’amarezza derivante dalle circostanze susseguitesi nelle ultime ore.
Le loro lingue trovarono un’improvvisa quiete, poi ripresero ad assaporarsi con maggiore intensità, con quella inebriante dolcezza, che contraddistingueva un rapporto ormai solido.
Glam arpionava gli zigomi di Robert, leccandolo sul mento, la gola, mentre il suo viso si reclinava di lato e poi all’indietro, come a godersi pienamente le attenzioni dell’altro.
I palmi di Geffen ricoprirono infine i suoi occhi socchiusi, quelle pozze di inchiostro dai toni abissali, in cui perdersi.
“Glam … ti … ti prego”
La sua era una richiesta di andare oltre, di non rimandare, ma Geffen non era d’accordo.
“Non ti voglio in questo modo Rob … Non voglio che facciamo l’amore spinti dallo sconforto, come se fosse una semplice consolazione” – gli segnò la linea della mascella, guardandolo diretto ed in crisi di ossigeno.
Downey sorrise malinconico – “Hai ragione … tu sei speciale, sai?”
“Mai quanto te, tesoro, mai quanto te Robert” – e riprese a baciarlo, con serenità ritrovata.






JOSH

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